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Coronavirus, parla l’infettivologo Galli: ‘E’ impossibile un vaccino prima di un anno’

Coronavirus. Ottenuto a Padova il test europeo per la diagnosi
Coronavirus

Massimo Galli, della Società italiana di malattie infettive e tropicali, esperti dicono che ci vorrà almeno un anno per avere un vaccino contro il nuovo coronavirus. Che cosa ne pensa?
«Ad oggi, nessuno può dire con certezza quanto tempo servirà per il vaccino. Non sappiamo che tipo di percorso ci attende. L’unico altro coronavirus per cui c’è un vaccino in fase di elaborazione è la Mers, ed è nelle primissime fasi. C’è ancora moltissimo da fare e questo è un virus completamente nuovo. Ci sono tante variabili da considerare. Ci vorranno mesi e mesi. Non sono pessimista ma realista. Tutti vogliono rassicurare ma ricordo bene che nel 1983 si disse che a breve sarebbe arrivato il vaccino per l’Aids. Stiamo ancora aspettando».

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Il coronavirus è al suo picco?
«Negli ultimi giorni, in Cina continentale, c’è ancora un incremento ma meno marcato dei giorni precedenti. Bisogna vedere se questa flessione è reale o se dipende dal sovraccarico di segnalazioni con il conseguente ritardo nelle notifiche. Per poterlo sapere dovranno passare dei giorni».

La Gran Bretagna parla di «minaccia imminente».
«In questo genere di epidemia, si sa dove si parte ma non cosa ci attende. Gli interventi attuati hanno sicuramente contenuto la dispersione a livello internazionale. Se non fosse stato così, avremmo avuto migliaia di casi fuori dal Paese. Per la Sars, degli 8098 casi tra 2002 e 2003, furono circa 2000 quelli fuori dalla Cina».

Ci sono casi asintomatici: quanto è facile il contagio?
«Casi di questo genere ci sono in ogni malattia virale, bisogna capire che ruolo effettivo hanno nella sua diffusione. Per analogia con la Sars, il grosso della diffusione del virus nell’ambiente avviene con l’intensificazione dei sintomi respiratori, come la tosse. Di solito nella Sars aveva luogo dopo una settimana, talvolta di più, dalla manifestazione dei primi sintomi. Ciò fa pensare che per il coronavirus l’effettivo momento di contagiosità sia abbastanza posticipato rispetto ai primi sintomi, una settimana dopo, appunto, o anche più».

Credito: Leggo


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