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Come parla Jorge Mario Bergoglio – Teologia dell’aquilone

9ab1cf93b16b90e2d315d3f41708bf3cNel linguaggio di Jorge Mario Bergoglio c’è un’espressione che l’allora arcivescovo di Buenos Aires pronunciò in occasione di un raduno di padri con figli adolescenti nel giugno del 2009. La questione a cui intendeva riferirsi era di natura educativa. Un’educazione che secondo lui doveva essere autorevole e allo stesso tempo incline alla libertà. La frase è «dagli corda che scodinzola!».

Bergoglio — nell’occasione citata — ha detto testualmente: «Chi lavora con i piccoli e non prega è ben difficile che sia saggio. Una saggezza che umanamente chiamerei dell’aquilone. Saper far volare un aquilone. Chi non lo sa far volare, chi non gli sa far riprendere quota, non ci sa nemmeno fare con i piccoli». Ha poi sviluppato l’immagine con queste parole: «Quando vuoi far riprendere quota a un aquilone devi capire dove tira il vento, dove lo vai a lanciare. Prova e riprova ed ecco che vola, la corrente lo spinge verso l’alto, poi all’improvviso impazzisce…¡aflojale que colea! Dagli corda perché scodinzola… poi gli dai uno strappo e lo stabilizzi di nuovo».

E arrivano le conclusioni: «Saper far riprendere quota a un aquilone. Sapere quando allentare la corda e quando dargli una tirata per stabilizzarlo. È un lavoro paziente. Un lavoro che esige un distacco. Ossia, i bambini che accompagno non sono per me, non sono figli miei, sono perché crescano e prendano il volo e poi volino da soli».

La paternità responsabile, quella che ha a cuore la sicurezza dei propri figli, non li chiude davanti ai pericoli della vita, ma gli insegna come vincerli o evitarli a seconda di quali pericoli si tratti. La vita è un rischio. E non affrontare i rischi e non lasciare che i nostri figli lo facciano non è vivere. E meno ancora secondo il Vangelo.

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«Dagli corda che scodinzola» ci riporta all’infanzia, ai giorni semplici in cui la nostra speranza non era altro che ci fosse vento, perché dopo che i nostri adulti si stancavano di giocare avessimo la possibilità di far risalire questo aquilone che — anche se allora non lo sapevamo — era la rappresentazione della nostra vita.

di Jorge Milia per L’Osservatore Romano

1 COMMENTO

  1. I figli sono come le “navi”…Essi nascono e devono ancorare in un “porto sicuro” presso i loro genitori. Poi devono prosseguire il destino, il loro cammino da soli, affrontando tante tempeste, percorrendo mari difficili della vita.. per poter cosi raggiungere la meta finale della felicità e gioia: una vera conquista personale non ereditaria, ma conseguita con le loro sole forze e capacità!

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