Pubblicità
HomeNewsHumanitas et WebChiamato dunque desidero

Chiamato dunque desidero

Per chi scopre la vita come vocazione sarà sempre accompagnato da una domanda: “Come faccio a capire qual è la mia vocazione? Come faccio a scoprire cosa Dio ha pensato per me?”. Un valido aiuto lo fornisce sant’Agostino quando ci parla della “ ginnastica del desiderio”. Dio parla attraverso i desideri e i sogni che ha messo nel nostro cuore. Il desiderio è lo specchio della persona: per conoscerla davvero occorre scoprire i suoi desideri. Sono le tracce che Dio ha lasciato nel nostro cuore. Fare discernimento allora significa prendere consapevolezza dei nostri desideri più veri e fare la scelta che Dio si aspetta da noi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”. La gioia della vocazione è racchiusa in questo versetto del vangelo: siamo scelti, non scegliamo noi. Siamo scoperti, trovati e voluti per una missione che mai avremmo pensato di vivere. La scelta è autentica nella misura in cui è stimolata da santi desideri come l’amore, la giustizia, la verità, la fratellanza, il progresso. Scrive papa Francesco nell’Evangelii gaudium, n.183: “Una fede autentica – che non è mai comoda né individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra”. La vocazione è questione di fede non di semplici scelte nostre. Se riduciamo la vocazione a qualcosa di semplicemente nostro allora cercheremo di lasciare soltanto il ricordo di noi stessi e delle nostre vuote parole, ma siccome il chiamato è un profeta desidera soltanto portare gli uomini a Dio. È bene chiedersi più volte nell’arco delle nostre intense giornate: “Cosa c’è dentro il mio cuore? Cosa è veramente importante per me?”. La vocazione muore quando non si desidera più o quando crediamo che essere chiamati voglia dire raggiungere uno scopo: convertire gli atei, guadagnare prestigio o applausi. In realtà si perde soltanto ciò che non si è mai raggiunto o ciò che ci siamo costruiti con le nostre mani. Scrive Alessandro D’Avenia nel suo primo romanzo, Bianca come il latte rossa come il sangue: “Ecco il segreto della felicità: essere se stessi e basta. Fare quello che si è chiamati ad essere”. Non possiamo fare se non quello a cui siamo chiamati. La felicità è legata al posto dove Dio ci ha messo. “ Il luogo in cui si trova il tesoro è il luogo in cui ci si trova” (Martin Buber, Il cammino dell’uomo). di Roberto Oliva

SCRIVI UNA RISPOSTA

Scrivi il commento
Inserisci il tuo nome