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Cattolici e ortodossi su un cammino da percorrere insieme. Primavera dopo il disgelo

ECUMENISMO_-_Nat_da_PolisDesiderio di cominciare. Volontà di proseguire. Dallo storico incontro a Gerusalemme fra Paolo VI e il Patriarca Atenagora, nel gennaio 1964, all’affettuoso abbraccio tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo, nel maggio 2014. Cinquant’anni dopo. «Irénikon», rivista trimestrale dei monaci di Chevetogne, nell’ultimo numero (87, 2014, pp. 3-4) ha dedicato l’editoriale a un pellegrinaggio che «non si ferma lì», a un ecumenismo che allarga e rafforza il suo spazio di dialogo con l’ebraismo, l’islam e le altre tradizioni religiose. Dell’editoriale pubblichiamo una nostra traduzione dal francese.

L’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca ecumenico Bartolomeo, a Gerusalemme, nel maggio scorso, riaccende nei nostri cuori il ricordo dell’incontro tanto memorabile dei loro predecessori, Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, nel gennaio 1964. Dopo il disgelo di cinquant’anni fa, si vuole ancora credere a un vento di primavera.
Le immagini, forse più dei discorsi, le immagini così ampiamente diffuse dai media di allora e ancora così facilmente accessibili, ravvivano in noi l’emozione, o la fanno nascere. Intensità degli sguardi, eloquenza dei gesti. Quel momento di riavvicinamento era — e lo è ancora — all’altezza dei secoli di separazione. Delle parole, non serberemo che quel Padre Nostro recitato insieme da Paolo VI e Atenagora, il Papa e il Patriarca, Roma e Costantinopoli, l’Occidente l’Oriente, Pietro e Andrea, due fratelli, figli di uno stesso Padre, che si ritrovano.
Desiderio di cominciare. Volontà di proseguire. Si dice che è il primo passo il più difficile. Quello fu un passo da giganti. Altri sono seguiti, più piccoli. Strada facendo, ci si è resi conto che non si camminava sempre allo stesso passo. Gli uni accelerano, gli altri rallentano. Alcuni restano senza fiato e si scoraggiano. Camminare insieme è più difficile di quanto si pensi. È un apprendistato. Si è detto: ecumenismo ricettivo? Imparare dall’altro, ricevere dall’altro. Saper far silenzio per ascoltare. E poi sempre, con i suoi alti e bassi, il dialogo della carità.
Gennaio 1964: Paolo e Atenagora. Maggio 2014: Francesco e Bartolomeo. E sempre, i due fratelli, Pietro e Andrea, sotto il segno della Croce (perché ci si ricordi del loro martirio) sul Golgota, poi all’Anastasi, al sepolcro vuoto, in quel luogo da cui sgorga la Vita in modo inedito: Cristo è risorto! È la gioia del Vangelo. Il primo annuncio. Che riecheggi sempre come un inizio!

Come cinquant’anni fa, il pellegrinaggio non si ferma lì. Lo spazio si allarga. Se ci sono i cristiani ancora divisi, ci sono anche gli ebrei e i musulmani, senza dimenticare quelli di altre tradizioni meno rappresentate in Terra Santa. Nella loro dichiarazione comune, Francesco e Bartolomeo esortano «tutti i cristiani a promuovere un autentico dialogo con l’ebraismo, con l’islam e con le altre tradizioni religiose» e ricordano quanto «l’indifferenza e la reciproca ignoranza possono soltanto condurre alla diffidenza e, purtroppo, persino al conflitto».
E, vittime di tanti conflitti, ci sono gli esiliati, i rifugiati, un’umanità imbevuta di violenza. Si è detto: ecumenismo della sofferenza? È il Papa che l’ha detto qui e altrove. E a Yad Vashem, quel luogo della memoria dolorosa — poiché l’andirivieni tra passato e presente è continuo — egli pone la domanda: «Adamo, dove sei?» (cfr. Genesi, 3, 9). «Dove sei, uomo?». Non abbiamo qui un ecumenismo “fondamentale”? Non dobbiamo semplicemente ritrovare insieme il cammino dell’Uomo per ritrovare insieme il cammino di Dio?

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All’origine della Settimana di studi liturgici all’Institut Saint-Serge di Parigi. Dalla diffidenza all’amicizia

di Giovanni Zavatta

«Bisogna dire che questo benedettino forte e robusto ha un modo assai sgradevole di prendere per mano il suo interlocutore, di sedersi accanto a lui, di sghignazzare di continuo e di scoppiare di colpo, per un niente, in una risata rumorosa, a volte un po’ inspiegabile e fuori luogo». Non era certo cominciata nel migliore dei modi la conoscenza fra l’archimandrita Cyprian Kern, direttore della Missione ortodossa russa a Gerusalemme, e dom Lambert Beauduin, fondatore in Belgio del monastero di Amay-Chevetogne, nato sotto il segno dell’ecumenismo. Era il dicembre 1929 e padre Cyprian, allora trentenne, annotava sul suo diario (due anni fa divenuto un libro a cura del diacono Alexander Zanemonetz) le conversazioni con dom Lambert, ventisei anni più vecchio, a Gerusalemme per intraprendere un lungo viaggio attraverso l’Oriente cristiano.

Nei loro discorsi l’unità dei cristiani, il concilio Vaticano i, il dogma dell’infallibilità del magistero del Papa in materia di fede e di morale. L’atteggiamento, soprattutto dell’ortodosso nei confronti del cattolico, è caratterizzato da diffidenza e pregiudizio: «Lo spettro del papismo ci insegue in ogni nostro colloquio sulla “riunione” e disfa inevitabilmente ogni discorso sull’amore reciproco e una migliore conoscenza l’uno dell’altro, trasformando tutto in “uniatismo” e papismo». Tuttavia, «c’è in lui sincerità e un distacco da tutto un po’ patetico, ma simpatico, in nome delle proprie idee». È «notevolmente erudito e conosce bene i concetti ortodossi e il pensiero russo religioso contemporaneo».

Ventitré anni più tardi, dopo averlo conosciuto a fondo e averne apprezzato tutte le qualità, Kern, nel frattempo divenuto docente di patrologia e liturgia all’Istituto di teologia ortodossa San Sergio, a Parigi, scriverà a Beauduin sollecitando «il suo generoso concorso (…) a un progetto di “Conferenze San Sergio di teologia liturgica”». Progetto che si realizzerà esattamente un anno dopo, nel luglio 1953, con la prima edizione della Settimana di studi liturgici di San Sergio. Sarà proprio padre Lambert a tenere la relazione inaugurale su «La messa in Oriente e in Occidente». E sarà un successo che si rinnoverà ininterrottamente, ogni anno, all’inizio dell’estate (nel 2015 la sessantaduesima edizione si svolgerà dal 22 al 25 giugno).

A questo straordinario incontro fra due dei più illustri rappresentanti del movimento liturgico dell’epoca, pionieri dei convegni scientifici interconfessionali, ha dato spazio e memoria «Irénikon», rivista trimestrale dei monaci di Chevetogne, riproponendo l’anno scorso (nel numero 1-2) in una versione rivista e ampliata la conferenza tenuta nel 2013 da padre Nicolas Egender, monaco di Chevetogne, dedicata alle origini della Semaine. «Come la storia ci insegna — scrive l’autore — le grandi iniziative sono dovute, spesso, all’audacia di uno o due personaggi animati da una grande idea. Né padre Cyprian né padre Lambert dubitavano dell’importanza che avrebbero assunto le Settimane liturgiche e del loro impatto ecumenico sulla vita delle Chiese di cui la celebrazione liturgica è il centro. Non solo questi incontri hanno allargato la conoscenza delle Chiese fra loro ma hanno fatto progredire lo studio delle stesse diverse liturgie e, in tal modo, l’approfondimento delle loro proprie tradizioni».

Liturgia e unità cristiana: per dom Beauduin il pensiero di una vita. «Il segno non equivoco di una vocazione ecumenica — affermava — è la fervente preoccupazione e la profonda presa di coscienza delle ricchezze spirituali psicologiche che si impone a coloro che non vogliono partecipare alle nostre divisioni. E proprio la presa di coscienza leale e sincera delle nostre ricchezze comuni creerà in noi una mentalità favorevole al ravvicinamento intellettuale e morale. Un immenso sforzo spirituale si impone a noi tutti, intrapreso con ottimismo e fiducia». In una lettera del 1951 a padre Clément Lialine, monaco di Chevetogne, Kern ricorda che l’unità già esiste nella preghiera, che «sul piano spirituale siamo assai vicini e uniti, malgrado le differenze esteriori e la separazione fisica nello spazio», che «questa comunione sacramentale fra le due Chiese è, in fondo, sempre esistita e si è conservata senza interruzione. Nella misura in cui riconosciamo l’efficacia dei sacramenti, tale comunione è manifesta. Ciò che manca solamente è la loro celebrazione comune». Sarà l’exploit, il podvig, del vero amore.

L’Institut Saint-Serge e il monastero di Amay-Chevetogne nacquero nello stesso anno, nel 1925. Padre Cyprian Kern e dom Lambert Beauduin morirono nello stesso anno, nel 1960, a un mese di distanza l’uno dall’altro, quasi fossero giunti alla fine di una missione che li aveva visti protagonisti insieme. Parlando del benedettino appena scomparso, Kern ricordò quella prima Settimana liturgica in cui Beauduin indicò il cammino per le edizioni future: «Si può dire senza esagerazioni — osservò l’archimandrita — che noi dobbiamo a padre Lambert una buona metà del nostro successo. È lui il vero creatore di questi incontri». Dalla diffidenza alla più totale fiducia, alla stima reciproca, alla vera amicizia.

L’Osservatore Romano, 7 febbraio 2015

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