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Beatificazione di mons. Durcovici, martire sotto il regime comunista rumeno

1513179_Articolo - CopiaE stato beatificato a Iasi, in Romania, mons. Anton Durcovici, vescovo ucciso in odio alla fede durante il regime comunista rumeno, dopo aver subito indicibili sofferenze. A rappresentare il Papa, il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il porporato, al microfono di Roberto Piermarini della Radio Vaticana, traccia un profilo del nuovo Beato:

D. – Negli anni della dura persecuzione anticristiana rumena, nonostante le minacce del regime, svolse una fervida attività di apostolato visitando le parrocchie della Diocesi e annunciando il Vangelo. Venne arrestato nel 1949 e rinchiuso nel duro carcere di Sighet, dove morì a 63 anni. Il regime della Romania, come per tanti altri martiri della Chiesa, ha voluto cancellare ogni memoria del vescovo di Iasi, non rimane alcun ricordo delle sue sofferenze durante la prigionia.

D. – Un po’ di biografia del nuovo Beato …

R. – Anton Durcovici nacque il 17 maggio 1888 in Austria. Morto il papà, a sei anni il bambino si trasferì con la madre e un fratello in Romania. Seguì gli studi ecclesiastici prima nel seminario di Bucarest e poi a Roma, dove conseguì i dottorati in filosofia, teologia e diritto canonico. Ordinato sacerdote nel 1910, fu per molti anni impegnato nell’insegnamento della religione e nella pastorale parrocchiale. Nominato nel 1947 Vescovo di Iasi in Moldavia, ricevette l’ordinazione episcopale nell’aprile del 1948, iniziando subito un intenso ministero di visite alle parrocchie e di incoraggiamento a perseverare nella fede.

D. – Mons. Durcovici si aggiunge ad altri vescovi e sacerdoti rumeni martiri e beatificati dalla Chiesa…

R. – Esatto. L’ultima beatificazione ha avuto luogo alla fine dello scorso agosto a Bucarest e ha riguardato la straordinaria figura del sacerdote Vladimir Ghika. Mons. Durcovici si aggiunge ai molti martiri della gloriosa Chiesa greco-cattolica rumena. Ammirando questo Vescovo eccezionale, Papa Francesco nella sua Lettera Apostolica lo chiama, «pastore zelante, apostolo dell’adorazione eucaristica e testimone eroico della comunione con la sede di Pietro».

D. – Ci può dire qualcosa di più della sua personalità?

R. – Mons. Durcovici era una persona mite, pacifica, piena di fede, caritatevole, misericordiosa. Amava in modo particolare i poveri. Alcuni testimoni raccontano che in quel tempo a Iasi c’era molta povertà. Mons. Durcovic dispose allora che nella scuola cattolica Notre Dame de Sion si aprisse una mensa per i poveri della città. Il nostro Beato non aveva nemici, non era implicato in politica, per lui tutti erano suoi fratelli. E la sua parola era essenzialmente evangelica. I testimoni affermano che parlava e viveva in persona Christi. Egli ricordava bene la parola di Gesù: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20).

D. – Cosa ci dice del suo martirio?

R. – Nonostante un atteggiamento di estrema prudenza, il vescovo fu arrestato con l’accusa di essere nemico del socialismo. Era il 26 giugno 1949 e quel giorno avrebbe dovuto conferire il sacramento della cresima a 650 giovani in una parrocchia alla periferia di Bucarest. Mentre si recava a piedi alla parrocchia, una macchina della Securitate gli si affiancò e alcuni agenti lo costrinsero a salire. Monsignor Durcovici scomparve così inghiottito per sempre nelle famigerate prigioni comuniste, dove fu interrogato e torturato per settimane, di giorno e di notte ininterrottamente. Il trattamento spietato, la mancanza di acqua e di cibo lo ridussero a uno scheletro.

D. – Ci sono testimoni del suo martirio?

R. – Certo, tutti i compagni di prigionia scampati alla morte. Ad esempio, Don Rafael Friedrich, un sacerdote rinchiuso nella famigerata prigione di Sighet, la più dura del regime, un giorno, durante un turno di ramazza, si avvicinò alla cella del vescovo e gli sussurrò in latino: «Ego sum Friedrich». Una voce flebile e stanca rispose: «Morior fame et siti, da mihi absolutionem». Verso la fine, infatti, il vescovo era stato messo in totale isolamento, gettato nudo nella cosiddetta cella della morte, buia, fredda, sudicia. Qui morì di stenti nella notte tra il 10 e l’11 dicembre 1951. «Il giorno dopo — riferisce un testimone — di buon mattino, l’autista della prigione portò via il suo corpo nudo ed esanime e lo gettò in una fossa comune del cimitero ebraico, vicino alla prigione».

D. – Cosa insegna questo vescovo martire a noi oggi?

R. – Ci insegna a essere forti e coraggiosi nelle prove. Per lui furono di sostegno le parole dell’apostolo Paolo, anche lui prigioniero e martire di Cristo: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? […] In tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati» (Rm 8,35-37).

D. – Come viene vissuta in Romania la sua forma di santità e di martirio?

R. – La sua fama di santità e di martirio è sempre stata viva in Romania e altrove. I suoi studenti in seminario, i sacerdoti dell’arcidiocesi di Bucarest e della diocesi di Iasi, i fedeli convertiti e guidati da lui, i suoi penitenti sono concordi nell’affermare di essere stati edificati dal suo esempio e di essere stati spinti dalla saggezza della sua direzione spirituale a camminare sulla via della perfezione evangelica. Nel 1987, ad esempio, alla notizia dell’apertura del processo di beatificazione, la signora Angèle Mornand, proprietaria di una fabbrica a Bucarest e convertita dal nostro martire, scriveva da Parigi: «Ad alleviare la mia dura croce, giunge ora una gioia celeste, che mi riempie di felicità, la meravigliosa notizia della beatificazione del nostro venerato e santo Durcovici. È una grande grazia di Dio avere avuto il privilegio di conoscere un santo, qui sulla terra. Era un santo meraviglioso».

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