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Austria, barriera anti-migranti. Tomasi: Europa sia responsabile

Oltre mille migranti, in rotta verso l’Italia a bordo di gommoni e un peschereccio, sono stati salvati oggi al largo delle coste libiche. Una nave di Medici senza frontiere ha invece sbarcato a Lampedusa oltre 200 persone recuperate ieri. Da gennaio 2015, oltre 700 mila persone sono arrivate in Europa attraverso il Mediterraneo, sono le nuove cifre fornite dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. L’Austria intanto annuncia una nuova barriera. Francesca Sabatinelli:

Migranti Austria

705.200 le persone arrivate in Europa via Mediterraneo, 140 mila in Italia e 560 mila in Grecia, il 64% delle quali provenienti dalla Siria che hanno abbandonato la rotta italiana, ma percorrono quella della Turchia e della Grecia. A riferire dell’incremento di arrivi via Mediterraneo in Europa è stato ieri Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, che ha anche parlato di un precario equilibrio tra i Paesi dell’Ue messo sempre più a dura prova. La situazione è destinata ad aggravarsi, ha aggiunto Tusk, evocando la nuova ondata di rifugiati provenienti da Aleppo e dalle regioni siriane colpite dai bombardamenti russi che, ha sottolineato, hanno provocato oltre centomila sfollati. Dobbiamo fare di più e meglio perché rischiamo di non essere all’altezza, aveva dichiarato sempre ieri il presidente della Commissione europea, Juncker, davanti al parlamento europeo, aprendo alla flessibilità per le spese per la crisi dei migranti, avvertendo però che sarà applicata “Paese per Paese”, purché ci siano “sforzi straordinari”. Di oggi, poi, la precisazione di Strasburgo: le parole di Juncker “erano generali sulle norme fiscali, non su casi individuali”. Il flusso degli arrivi non si arresta in Germania dove, soltanto nella giornata di ieri, sono arrivate 5.500 persone, ottomila il giorno precedente. Berlino ha fatto sapere che gli afghani verranno rimpatriati, non potranno ottenere l’asilo, ha spiegato il ministro dell’Interno, de Maiziere, aggiungendo che, assieme al governo di Kabul, si sta lavorando per farli rientrare per partecipare alla ricostruzione del Paese. Sempre Berlino ha però condannato l’Austria, che ha annunciato la costruzione di una barriera sull’esempio dell’Ungheria, lungo la frontiera con la Slovenia, per rallentare il flusso di migranti.

A Ginevra, intanto, si è svolta una conferenza dedicata alla fenomeno dei “Migranti e le città”, un appuntamento che ha messo a fuoco una problematica estremamente attuale e alla quale ha preso parte mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu di Ginevra. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – C’è il rischio che questi nuovi arrivati vengano un po’ reclusi, non per politiche esplicite, ma per un movimento quasi naturale che si è sviluppato in questa maniera, senza programmazione, e si ritrovano in zone più difficili, quasi rioni delle città o delle zone urbane, dove l’influenza del gruppo particolare di migranti in quella zona lentamente prende il sopravvento e, invece di facilitare l’integrazione, crea una barriera a una coesione della vita sociale del Paese in cui questi nuovi immigrati arrivano.

D. – Ricordiamo tutti cosa accadde anni fa in Francia, nelle “banlieues”, e gli scontri. Quest’anno, in Italia abbiamo vissuto qualcosa di simile nelle zone periferiche della capitale, ma per persone che sono classificabili tra i profughi. Anche se il tipo di immigrazione è diversa, il meccanismo che genera questi conflitto è lo stesso?

R. – I richiedenti asilo per ragioni politiche, che hanno diritto di essere accolti in base ai trattati che sono stati firmati dai Paesi europei, una volta presenti sul territorio hanno le stesse esigenze degli immigrati per ragioni economiche: cercano un lavoro, una casa, un modo di vivere decentemente. Poi, o perché la lingua unisce o per il background o addirittura per la dimensione religiosa, si arriva a queste concentrazioni di persone. Il risultato è che possono essere o una pedana di lancio per facilitare l’eventuale integrazione futura delle persone che sono arrivate adesso, oppure c’è il rischio che queste zone implodano: la povertà, la mancanza di impiego, la criminalità che rischia di svilupparsi rendono la situazione sociale pericolosa e inaccettabile. Abbiamo bisogno di una politica intelligente che riconosca da una parte l’esigenza umana dei nuovi arrivati di trovarsi insieme, perché si sentono più a loro agio ma, allo stesso tempo, dev’essere una situazione che non si chiuda in queste zone specifiche e limitate delle città, ma abbia strade che portino all’uscita. La via principale è l’educazione, fare imparare la lingua, fare crescere l’accettazione dei valori fondamentali di una democrazia, in modo che la convivenza sia possibile e soprattutto che il futuro dei giovani non sia condizionato, imprigionato, in queste zone, ma che possano avere la possibilità concreta di integrarsi nel resto della società nella quale pensano di potere essere più utili.

D. – Di fronte a queste nuove cifre che sono state date dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati – di oltre 700 mila persone che da gennaio a oggi sono arrivate attraverso il Mediterraneo – l’Europa come si sta comportando?

R. – L’Unione Europea fa fatica a trovare una politica comune per rispondere a questa emergenza di immigrati che vengono dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Dobbiamo prendere in considerazione, prima di tutto, l’obbligo dei Paesi europei che hanno firmato la Convenzione riguardante i rifugiati, di mettere in pratica la loro responsabilità giuridica. C’è una esigenza di comprensione e di compassione, perché queste persone che scappano dal loro Paese lo fanno perché o l’estrema povertà o la violenza li spingono verso Paesi dove sperano di poter trovare un rifugio e uno stile di vita migliore. La responsabilità dei Paesi europei e dei Paesi occidentali in genere è quella di andare alla radice anzitutto delle cause che spingono, che forzano famiglie, minorenni, donne, a cercare altrove la sopravvivenza. In qualche modo, bisogna prendersi la responsabilità delle azioni politiche che sono state fatte, perché se vengono destabilizzati i Paesi come l’Iraq, come la Siria, come la Libia, per ragioni militari e politiche e per interessi economici dei Paesi occidentali, quando poi il disastro arriva, e tocca soprattutto la popolazione civile, bisogna assumersi la responsabilità delle conseguenze delle azioni compiute. Penso che questo aspetto sia importante e credo non venga molto spesso sottolineato, però deve essere affrontato. Le cause che provocano questa crisi di spostamento massiccio di popolazione da una parte all’altra del mondo devono essere affrontate alla radice e bisogna onestamente cercare di risolverle, mettendo fine alla violenza e cercando di essere più equi e solidali nell’affrontare la situazione economica dei Paesi di origine.




Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va)

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