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Auguri ai due ‘Papà della Chiesa’: Benedetto XVI e Francesco

Oggi la Chiesa celebra la solennità di San Giuseppe, sposo della vergine Maria e padre di Gesù. Rendiamo grazie al Signore per l’esempio che ci ha donato attraverso Giuseppe, umile lavoratore, mite di cuore, attento alla voce di Dio. Ricordiamo oggi, con affetto due grandi “padri” nella Fede: Benedetto XVI e Francesco, i quali esercitano su tutti i credenti una paternità feconda. Grazie al loro esempio tantissimi sono ritornati nel recinto di Dio, abbandonando la via del peccato ed abbracciando quella della grazia. Papa Benedetto, ha mostrato agli uomini la fermezza del Padre: non ha cercato il consenso populista. Preferisce affascinare con la fermezza della parola e la proclamazione della Verità senza “se” ne “ma”. Come succede nelle famiglie, tante volte questo atteggiamento non è compreso. E’ rifiutato. Nel tempo, però produce frutti buoni. Papa Francesco con il sorriso e la misericordia, ogni giorno dona, speranza nel domani. Gli abbracci affettuosi con la gente, il dialogo costante e continuo con ogni persona che gli chiede aiuto, è segno della paternità di Dio, il quale chiede di andare a cercare le pecorelle perdute del gregge. Andare verso le “periferie”, con il cuore di padre, è la carta vincente di un un di Dio, in cammino con la Chiesa verso il Signore. Propongo alla vostra lettura alcuni passi significativi di Papa Benedetto e Francesco:

“La luce dell’amore, propria della fede, può illuminare gli interrogativi del nostro tempo sulla verità. La verità oggi è ridotta spesso ad autenticità soggettiva del singolo, valida solo per la vita individuale. Una verità comune ci fa paura, perché la identifichiamo con l’imposizione intransigente dei totalitarismi. Se però la verità è la verità dell’amore, se è la verità che si schiude nell’incontro personale con l’Altro e con gli altri, allora resta liberata dalla chiusura nel singolo e può fare parte del bene comune. Essendo la verità di un amore, non è verità che s’imponga con la violenza, non è verità che schiaccia il singolo. Nascendo dall’amore può arrivare al cuore, al centro personale di ogni uomo. Risulta chiaro così che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti” (Benedetto XVI).

“Il nostro cammino di fede è legato in modo indissolubile a Maria da quando Gesù, morente sulla croce, ce l’ha donata come Madre dicendo: «Ecco tua madre!» (Gv 19,27). Queste parole hanno il valore di un testamento e danno al mondo una Madre. Da quel momento la Madre di Dio è diventata anche Madre nostra! Nell’ora in cui la fede dei discepoli veniva incrinata da tante difficoltà e incertezze, Gesù li affidava a Colei che era stata la prima a credere, e la cui fede non sarebbe mai venuta meno. E la “donna” diventa Madre nostra nel momento in cui perde il Figlio divino. Il suo cuore ferito si dilata per fare posto a tutti gli uomini, buoni e cattivi, tutti, e li ama come li amava Gesù. La donna che alle nozze di Cana di Galilea aveva dato la sua cooperazione di fede per la manifestazione delle meraviglie di Dio nel mondo, al calvario tiene accesa la fiamma della fede nella risurrezione del Figlio, e la comunica con affetto materno agli altri. Maria diventa così sorgente di speranza e di gioia vera! La Madre del Redentore ci precede e continuamente ci conferma nella fede, nella vocazione e nella missione. Con il suo esempio di umiltà e di disponibilità alla volontà di Dio ci aiuta a tradurre la nostra fede in un annuncio del Vangelo gioioso e senza frontiere. Così la nostra missione sarà feconda, perché è modellata sulla maternità di Maria. A Lei affidiamo il nostro itinerario di fede, i desideri del nostro cuore, le nostre necessità, i bisogni del mondo intero, specialmente la fame e la sete di giustizia e di pace e di Dio; e la invochiamo tutti insieme, e vi invito ad invocarla per tre volte, imitando quei fratelli di Efeso, dicendole “Madre di Dio”: Madre di Dio! Madre di Dio! Madre di Dio!” (Papa Francesco).

“L’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani. L’uomo, perso l’orientamento fondamentale che dà unità alla sua esistenza, si disperde nella molteplicità dei suoi desideri; negandosi ad attendere il tempo della promessa, si disintegra nei mille istanti della sua storia. Per questo l’idolatria è sempre politeismo, movimento senza meta da un signore all’altro. L’idolatria non offre un cammino, ma una molteplicità di sentieri, che non conducono a una meta certa e configurano piuttosto un labirinto. Chi non vuole affidarsi a Dio deve ascoltare le voci dei tanti idoli che gli gridano: “Affidati a me!”. La fede in quanto legata alla conversione, è l’opposto dell’idolatria; è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente, mediante un incontro personale. Credere significa affidarsi a un amore misericordioso che sempre accoglie e perdona, che sostiene e orienta l’esistenza, che si mostra potente nella sua capacità di raddrizzare le storture della nostra storia. La fede consiste nella disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio. Ecco il paradosso: nel continuo volgersi verso il Signore, l’uomo trova una strada stabile che lo libera dal movimento dispersivo cui lo sottomettono gli idoli” (Benedetto XVI).

“I Magi seppero superare quel pericoloso momento di oscurità presso Erode, perché credettero alle Scritture, alla parola dei profeti che indicava in Betlemme il luogo della nascita del Messia. Così sfuggirono al torpore della notte del mondo, ripresero la strada verso Betlemme e là videro nuovamente la stella, e il Vangelo dice che provarono «una gioia grandissima» (Mt 2,10). Quella stella che non si vedeva nel buio della mondanità di quel palazzo. Un aspetto della luce che ci guida nel cammino della fede è anche la santa “furbizia”. E’ una anche virtù questa, la santa “furbizia”. Si tratta di quella scaltrezza spirituale che ci consente di riconoscere i pericoli ed evitarli. I Magi seppero usare questa luce di “furbizia” quando, sulla via del ritorno, decisero di non passare dal palazzo tenebroso di Erode, ma di percorrere un’altra strada. Questi saggi venuti da Oriente ci insegnano come non cadere nelle insidie delle tenebre e come difenderci dall’oscurità che cerca di avvolgere la nostra vita. Loro, con questa santa “furbizia” hanno custodito la fede. E anche noi dobbiamo custodire la fede. Custodirla da quel buio. Ma, anche, tante volte, un buio travestito di luce! Perché il demonio, dice san Paolo, si veste da angelo di luce, alcune volte. E qui è necessaria la santa “furbizia”, per custodire la fede, custodirla dai canti delle Sirene, che ti dicono: “Guarda, oggi dobbiamo fare questo, quello…” Ma la fede è una grazia, è un dono. A noi tocca custodirla con questa santa “furbizia”, con la preghiera, con l’amore, con la carità. Occorre accogliere nel nostro cuore la luce di Dio e, nello stesso tempo, coltivare quella furbizia spirituale che sa coniugare semplicità ed astuzia, come chiede Gesù ai discepoli: «Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16)” (Papa Francesco).

“Non è facile riconoscere ed incontrare l’autentica felicità nel mondo in cui viviamo, in cui l’uomo è spesso ostaggio di correnti di pensiero, che lo conducono, pur credendosi “libero”, a perdersi negli errori o nelle illusioni di ideologie aberranti. E’ urgente “liberare la libertà” (cfr Enciclica Veritatis splendor, 86), rischiarare l’oscurità in cui l’umanità sta brancolando. Gesù ha indicato come ciò possa avvenire: “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 31-32). Il Verbo incarnato, Parola di Verità, ci rende liberi e dirige la nostra libertà verso il bene. Cari giovani, meditate spesso la parola di Dio, e lasciate che lo Spirito Santo sia il vostro maestro. Scoprirete allora che i pensieri di Dio non sono quelli degli uomini; sarete portati a contemplare il vero Dio e a leggere gli avvenimenti della storia con i suoi occhi; gusterete in pienezza la gioia che nasce dalla verità” (Papa Benedetto XVI).

“Paolo esorta i cristiani di Corinto, «per il nome del Signore Nostro Gesù Cristo», ad essere tutti unanimi nel parlare, perché tra di loro non vi siano divisioni, bensì perfetta unione di pensiero e di sentire (cfr v. 10). La comunione che l’Apostolo invoca, però, non potrà essere frutto di strategie umane. La perfetta unione tra i fratelli, infatti, è possibile solo in riferimento al pensiero e ai sentimenti di Cristo (cfr Fil 2,5). Mentre siamo riuniti in preghiera, avvertiamo che Cristo, che non può essere diviso, vuole attirarci a sé, verso i sentimenti del suo cuore, verso il suo totale e confidente abbandono nelle mani del Padre, verso il suo radicale svuotarsi per amore dell’umanità. Solo Lui può essere il principio, la causa, il motore della nostra unità. Mentre ci troviamo alla sua presenza, diventiamo ancora più consapevoli che non possiamo considerare le divisioni nella Chiesa come un fenomeno in qualche modo naturale, inevitabile per ogni forma di vita associativa. Le nostre divisioni feriscono il suo corpo, feriscono la testimonianza che siamo chiamati a rendergli nel mondo. Il Decreto del Vaticano II sull’ecumenismo, richiamando il testo di san Paolo che abbiamo meditato, significativamente afferma: «Da Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo. Tutti invero asseriscono di essere discepoli del Signore, ma hanno opinioni diverse e camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso». E, quindi, aggiunge: «Tale divisione non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura» (Unitatis redintegratio, 1). Tutti noi siamo stati danneggiati dalle divisioni. Tutti noi non vogliamo diventare uno scandalo. E per questo tutti noi camminiamo insieme, fraternamente, sulla strada verso l’unità, facendo unità anche nel camminare, quell’unità che viene dallo Spirito Santo e che ci porta una singolarità speciale, che soltanto lo Spirito Santo può fare: la diversità riconciliata. Il Signore ci aspetta tutti, ci accompagna tutti, è con tutti noi in questo cammino dell’unità”. (Papa Francesco).

Quanta ricchezza paterna, troviamo leggendo i pensieri dei due “papà” della Chiesa! E’ una ricchezza inesauribile a cui dobbiamo fare riferimento, per la crescita umana e spirituale. Chi vuole a tutti i costi mettere in contrapposizione i due Pontefici, non rende un buon servizio al Vangelo e al mondo. Pertanto, ricordiamo le parole pronunciate da Papa Francesco nella sua intervista, sulla presenza di Benedetto XVI: “Il papa emerito non è una statua in un museo. È una istituzione. Non eravamo abituati. Sessanta o settant’anni fa, il vescovo emerito non esisteva. Venne dopo il Concilio. Oggi è un’istituzione. La stessa cosa deve accadere per il papa emerito. Benedetto è il primo e forse ce ne saranno altri. Non lo sappiamo. Lui è discreto, umile, non vuole disturbare. Ne abbiamo parlato e abbiamo deciso insieme che sarebbe stato meglio che vedesse gente, uscisse e partecipasse alla vita della Chiesa. […] Qualcuno avrebbe voluto che si ritirasse in una abbazia benedettina lontano dal Vaticano. Io ho pensato ai nonni che con la loro sapienza, i loro consigli danno forza alla famiglia e non meritano di finire in una casa di riposo”. La convivenza tra i due pontefici, non è fonte di divisone nella Chiesa, ma valore aggiunto di saggezza e di amore. Chi ha orecchi per intendere, intenda! di Giovanni Profeta

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