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Al via la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: dai che ce la facciamo!

foto_264_1 - CopiaL’unità dei cristiani non solo è possibile, ma è urgentemente necessaria: basta divisione, occorre preghiera incessante e qualche atto di coraggio, da una parte e dall’altra. Questa è la settimana adatta per metterci a pregare di più.

Vi proponiamo la lettura di questo articolo sull’edizione quotidiana de L’OSSERVATORE ROMANO

Nel 2014 è tornata a riunirsi in sessione plenaria la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. Questa sessione era particolarmente attesa in quanto la commissione non si riuniva nella sua interezza da quasi quattro anni. Inoltre, speciali aspettative erano suscitate dal Paese stesso nel quale era ospitata la riunione, la Giordania, così ricca di testimonianze legate alla rivelazione biblica, come il luogo del battesimo di Gesù al Giordano o il Monte Nebo, e oggi nel cuore di una regione segnata da atroci violenze che colpiscono le diverse minoranze, tra le quali i cristiani di tutte le Chiese presenti sul territorio. In tutti i partecipanti alla sessione plenaria era vivo il desiderio di proseguire il dialogo in modo fruttuoso per dare un segnale di unità proprio in un’area geografica dove sono in atto conflitti che provocano divisioni e contrasti.
La XIII sessione plenaria della commissione ha avuto luogo dal 15 al 23 settembre ad Amman, su invito del Patriarca greco ortodosso di Gerusalemme, sua beatitudine Theofilos III, per prendere in esame il tema del rapporto teologico tra primato e sinodalità, indicato come oggetto di riflessione nella XII plenaria tenutasi a Vienna nel 2010. In quella circostanza, infatti, la commissione, su proposta della parte ortodossa, aveva deciso di non proseguire lo studio di un documento, dal titolo Il ruolo del vescovo di Roma nella comunione della Chiesa del primo millennio, nel quale erano state raccolte le testimonianze storiche, patristiche e canoniche relative al periodo in esame, ma di concentrare la propria attenzione su questioni di natura più prettamente teologica ed ecclesiologica.
La commissione ad Amman ha lavorato su un documento redatto secondo il metodo di preparazione concordato all’inizio delle attività di questo organismo (Patmos-Rodi 1980).

Nel giugno del 2011 si era riunita una sottocommissione mista con il compito di produrre una prima bozza, da presentare al Comitato misto di coordinamento. Quest’ultimo, in due incontri (a Roma nel 2011 e a Parigi nel 2012), ha rielaborato il testo e ha concordato di sottoporlo allo studio dell’intera commissione. Il documento, dal titolo Sinodalità e primato, si proponeva di ricercare un fondamento teologico che giustificasse quanto asserito nell’ultimo documento pubblicato dalla commissione, Le conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa. Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità (Ravenna 2007), cioè che «primato e conciliarità sono reciprocamente interdipendenti» e che «il primato ai diversi livelli della vita della Chiesa, locale, regionale e universale, deve essere sempre considerato nel contesto della conciliarità e, analogamente, la conciliarità nel contesto del primato» (n. 43). Il fondamento della reciproca interdipendenza tra primato e conciliarità o sinodalità, a ogni livello della vita della Chiesa, veniva individuato principalmente nel mistero trinitario.

La ricchezza della riflessione teologica contenuta nel documento in esame è stata apertamente apprezzata da alcuni membri della commissione, mentre altri, soprattutto da parte ortodossa, hanno manifestato una certa perplessità. In particolare, veniva sottolineato che non è possibile far dipendere direttamente dal modello trinitario lo sviluppo di tutte le istituzioni della vita della Chiesa a ogni suo livello. Per superare questa impasse, la commissione ha deciso di discutere sulla parte conclusiva di quel documento e di affidare a un gruppo di redazione il compito di raccogliere i frutti di tale discussione e preparare un nuovo documento. Il risultato di questa nuova redazione è stato un testo più breve, che si proponeva di ricercare una comune comprensione di cosa siano primato e sinodalità ai vari livelli della vita della Chiesa e di come queste due realtà siano profondamente legate l’una all’altra, alla luce dell’esperienza del primo millennio, durante il quale i cristiani d’Oriente e d’Occidente erano in piena comunione.
Dopo una lunga discussione, poiché non era possibile giungere a un generale consenso circa la pubblicazione del documento preparato ad Amman, la commissione ha deciso di rimandare tale testo al comitato di coordinamento perché provveda a un’ulteriore elaborazione e miglioramento in vista della prossima sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme. È stato inoltre suggerito che il Comitato misto di coordinamento si riunisca nel 2015 e che in quella circostanza si propongano possibili date per la sessione plenaria, tenendo conto anche che nel 2016 è prevista la convocazione del Grande sinodo pan-ortodosso.

Erano presenti ventitré delegati da parte cattolica, con alcune assenze a causa di impegni concomitanti. Tutte le Chiese ortodosse, a eccezione del Patriarcato di Bulgaria, erano rappresentate. Il comunicato rilasciato a conclusione della riunione presenta l’elenco secondo lataxis delle Chiese ortodosse: il Patriarcato ecumenico, quindi il Patriarcato di Alessandria, il Patriarcato di Antiochia, il Patriarcato di Gerusalemme, il Patriarcato di Mosca, il Patriarcato serbo, il Patriarcato di Romania, il Patriarcato di Georgia, le Chiese autocefale di Cipro, di Grecia, di Polonia, di Albania, e delle Terre di Cechia e Slovacchia. I lavori della commissione sono stati diretti da due co-presidenti, il cardinale Kurt Koch, da parte cattolica, e il metropolita di Pergamo, Ioannis Zizioulas, da parte ortodossa.

I membri della commissione riuniti ad Amman non potevano non sentirsi particolarmente toccati dalla situazione di tanti cristiani e membri di altre tradizioni religiose di questa regione, vittime di persecuzioni e violenze. La commissione ha voluto esprimere chiaramente la condanna di ogni crimine compiuto nel nome di Dio e ha ardentemente pregato per tutte le vittime dei conflitti che colpiscono il Vicino oriente. Particolare gratitudine è stata espressa nei confronti di quanti si stanno adoperando per l’accoglienza delle centinaia di migliaia di profughi che lasciano la Siria e l’Iraq e un appello è stato rivolto a tutti i leader religiosi e alla comunità internazionale affinché proseguano i loro sforzi per l’assistenza dei rifugiati e assicurino la permanenza della presenza cristiana nella regione. La commissione infine ha rivolto un accorato appello per la liberazione dei metropoliti di Aleppo, Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e Boulos Yazigi, e dei sacerdoti, religiosi e laici che sono stati rapiti. Per sottolineare tale solidarietà con le persone sofferenti della regione, il cardinale Koch e il metropolita Ioannis, accompagnati da altri membri della commissione, tra i quali il cardinale Leonardo Sandri, hanno fatto visita a un centro di accoglienza per rifugiati in Amman, dove hanno potuto ascoltare le tristi storie di questa tragica situazione.

Al termine della sessione plenaria, diffuso tra tutti i partecipanti era un sentimento di delusione per non essere riusciti a completare lo studio di un documento comune pronto per la pubblicazione. Si sarebbe voluto lanciare dal Vicino oriente un messaggio di unità e di riconciliazione che andasse oltre i confini dello stesso dialogo teologico tra cattolici e ortodossi. Tuttavia, al termine dei lavori, tutti erano concordi sul fatto che, a motivo della serietà del tema in esame, era necessario procedere con un ulteriore studio prima di pubblicare il documento. In tutti i membri della commissione, cattolici e ortodossi, vi era la convinta intenzione di proseguire questo importante dialogo, senza evitare le questioni più delicate, ma studiandole con grande accuratezza e in profondità. In tal senso, si può giustamente affermare che il più importante risultato conseguito ad Amman è proprio l’unanime decisione di continuare il dialogo con il massimo impegno.

Un aiuto a superare le difficoltà incontrate dal dialogo teologico è certamente rappresentato dall’intensificarsi del dialogo della carità che — a cinquant’anni di distanza dagli storici incontri tra Papa Paolo VI e il Patriarca ecumenico Atenagora che ebbero luogo il 5 e 6 gennaio 1964 a Gerusalemme — continua a costituire il “motore propulsore” dello sviluppo delle relazioni tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Insieme alle molteplici occasioni di contatto tra cattolici ed ortodossi, quali convegni, visite, scambi epistolari e di delegazione, che rappresentano una realtà ormai consolidatasi nel corso degli anni, il 2014 è stato positivamente segnato da ben tre incontri tra Papa Francesco e il Patriarca ecumenico Bartolomeo. Il primo si è tenuto nei giorni 25 e 26 maggio, quando il Pontefice e il Patriarca si sono recati in pellegrinaggio a Gerusalemme, per commemorare il cinquantesimo anniversario degli storici incontri tra Paolo VI e Atenagora. Il secondo incontro si è tenuto in occasione della visita di Bartolomeo a Roma per partecipare, su invito di Francesco, all’invocazione per la pace, con la presenza del presidente dello Stato di Israele, Shimon Peres, e del presidente palestinese, Mahmoud Abbas, che ha avuto luogo domenica 8 giugno nei Giardini vaticani. Il Papa e il Patriarca si sono nuovamente incontrati nei giorni 29 e 30 novembre, quando il Santo Padre, rispondendo all’invito di Bartolomeo, ha fatto visita al Phanar (Istanbul), per partecipare alle celebrazioni per la festa di sant’Andrea, patrono del Patriarcato ecumenico.

Come ha significativamente affermato Papa Francesco al termine della divina liturgia celebrata da Bartolomeo nella chiesa patriarcale di San Giorgio al Phanar, il 30 novembre scorso, «incontrarci, guardare il volto l’uno dell’altro, scambiare l’abbraccio di pace, pregare l’uno per l’altro sono dimensioni essenziali di quel cammino verso il ristabilimento della piena comunione alla quale tendiamo. Tutto ciò precede e accompagna costantemente quell’altra dimensione essenziale di tale cammino che è il dialogo teologico. Un autentico dialogo è sempre un incontro tra persone con un nome, un volto, una storia, e non soltanto un confronto di idee». Il clima di reciproca fiducia e di stima vicendevole che il dialogo della carità crea non potrà non avere un positivo influsso sul dialogo della verità, che, se riesce a preservarsi dal rischio di diventare una semplice discussione accademica, costituisce lo strumento indispensabile per la soluzione delle controversie teologiche che hanno accompagnato la separazione tra cattolici e ortodossi.

Per questo motivo, Papa Francesco e il Patriarca ecumenico Bartolomeo hanno espresso fortemente il loro sostegno al prosieguo dell’attività della Commissione mista internazionale nelle dichiarazioni comuni firmate a Gerusalemme e al Phanar: «Un contributo fondamentale alla ricerca della piena comunione tra cattolici e ortodossi è offerto dal dialogo teologico condotto dalla Commissione mista internazionale. (…) Oggi vogliamo esprimere il nostro sentito apprezzamento per i risultati raggiunti, così come per gli sforzi che attualmente si stanno compiendo» e «vogliamo inoltre sostenere il dialogo teologico promosso dalla Commissione mista internazionale, che (…) sta trattando attualmente le questioni più difficili che hanno segnato la storia della nostra divisione e che richiedono uno studio attento e approfondito». Anche le parole pronunciate dal Papa e dal Patriarca in occasione dei loro incontri offrono un sostanziale contributo alla riflessione sulla questione della relazione tra primato e sinodalità di cui si sta occupando la Commissione mista internazionale.

Nel discorso tenuto durante la preghiera ecumenica nella basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, Francesco ha riaffermato l’impegno già formulato dai suoi predecessori «di mantenere un dialogo con tutti i fratelli in Cristo per trovare una forma di esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in conformità con la sua missione, si apra a una situazione nuova e possa essere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione riconosciuto da tutti». Inoltre, nella chiesa patriarcale di San Giorgio al Phanar, il Papa ribadiva che, «per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione della fede comune, e che siamo pronti a cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e dell’esperienza del primo millennio, le modalità con le quali garantire la necessaria unità della Chiesa nelle attuali circostanze». Queste parole costituiscono uno straordinario punto di partenza per garantire l’efficacia del prosieguo del dialogo stesso.
Da parte sua, in quella circostanza, il Patriarca Bartolomeo ha affermato che il modo con il quale Papa Francesco sta concretamente esercitando il suo ministero, con semplicità, umiltà e amore verso tutti, offre ai fratelli ortodossi «la speranza che (…) l’avvicinamento delle nostre due grandi antiche Chiese continuerà a edificarsi sulle solide fondamenta della nostra comune tradizione, la quale da sempre rispettava e riconosceva nel corpo della Chiesa un primato di amore, di onore e di servizio, nel quadro della sinodalità».

La primavera del dialogo della carità che cattolici e ortodossi oggi stanno vivendo, grazie soprattutto alla convergenza di pensiero tra Papa Francesco e il Patriarca ecumenico Bartolomeo, che si coglie nettamente dagli incontri e dalle parole che essi si scambiano, permette di guardare con sereno ottimismo alla continuazione del dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. Tuttavia, né il dialogo della verità né il dialogo della carità saranno sufficienti per realizzare significativi progressi sul cammino verso il pieno ristabilimento della comunione visibile se, lungo questa strada, cattolici e ortodossi non si lasceranno guidare dallo Spirito Santo, come ha ricordato in modo efficace il Pontefice rivolgendosi, il 28 giugno 2014, ai membri della delegazione del Patriarcato ecumenico in visita a Roma in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo: «Se impareremo, guidati dallo Spirito, a guardarci sempre gli uni gli altri in Dio, sarà ancora più spedito il nostro cammino e più agile la collaborazione in tanti campi della vita quotidiana che già ora felicemente ci unisce. Questo sguardo teologale si nutre di fede, di speranza, di amore; esso è capace di generare una riflessione teologica autentica, che è in realtà vera scientia Dei, partecipazione allo sguardo che Dio ha su se stesso e su di noi. Una riflessione che non potrà che avvicinarci gli uni agli altri, nel cammino dell’unità, anche se partiamo da prospettive diverse».

di Andrea Palmieri, Sotto-segretario del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, L’Osservatore Romano, 20 gennaio 2015

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