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1984: Giovanni Paolo II in viaggio fino alle estremità della terra

Giovanni Paolo II torna in estremo Oriente visitando la Corea, la Papua Nuova Guinea, Le Isole Salomone e infine la Thailandia. Nella lontana terra di Corea, Papa Woityla, il 6 maggio 1984, iscrisse i martiri coreani nel calendario dei santi. La loro memoria si celebra il 02 Aprile, perché un gruppo di essi subì il martirio in questo mese, alcuni il 20 e il 21 settembre. L’azione dello Spirito, che soffia dove vuole, con l’apostolato di un generoso manipolo di laici è alla radice della santa Chiesa di Dio in terra coreana. Il primo germe della fede cattolica, portato da un laico coreano nel 1784 al suo ritorno in Patria da Pechino, fu fecondato sulla meta del secolo XIX dal martirio che vide associati 103 membri della giovane comunità. Fra essi si segnalano Andrea Kim Taegon, il primo presbitero coreano e l’apostolo laico Paolo Chong Hasang. Le persecuzioni che infuriarono in ondate successive dal 1839 al 1867, anziché soffocare la fede dei neofiti, suscitarono una primavera dello Spirito a immagine della Chiesa nascente. L’impronta apostolica di questa comunità dell’Estremo Oriente fu resa, con linguaggio semplice ed efficace, ispirato alla parabola del buon seminatore, del presbitero Andrea alla vigilia del martirio.  Vibrante l’omelia pronunciata per l’occasione: “La verità su Gesù Cristo raggiunse anche la terra di Corea. Arrivò per mezzo di libri portati dalla Cina. E per una via meravigliosa, la grazia divina spinse presto i vostri dotti antenati prima ad una ricerca intellettuale sulla verità e la parola di Dio, e quindi ad una fede viva nel Salvatore risorto. Desiderando ardentemente una maggiore partecipazione alla fede cristiana, i vostri antenati inviarono, nel 1874, uno di loro a Pechino, e là egli fu battezzato. Da questo seme buono nacque la prima comunità cristiana in Corea, una comunità unica nella storia della Chiesa, perché essa fu fondata unicamente da laici. Questa Chiesa inesperta, così giovane e già così forte nella sua fede, ha resistito a diverse ondate di feroci persecuzioni. Fu così che, in meno di un secolo, essa già poteva vantare alcune decine di migliaia di martiri. Gli anni 1791, 1801, 1827, 1839, 1846 e 1866 portano per sempre il marchio di sangue dei vostri martiri, e sono impressi per sempre nel vostro cuore. I primi cristiani nei primi cinquant’anni furono assistiti soltanto da due sacerdoti, venuti dalla Cina, e solo per un breve periodo di tempo; nonostante ciò essi approfondirono la loro unità in Cristo attraverso la preghiera e l’amore fraterno. Essi non fecero distinzione di classe e incoraggiarono le vocazioni religiose, e cercarono un’unione sempre più stretta con il loro vescovo a Pechino e il Papa nella lontana Roma. Dopo aver invocato per anni l’invio di un maggior numero di sacerdoti, i vostri antenati diedero il benvenuto ai primi missionari francesi nel 1836. Anche alcuni di loro figurano tra quei martiri, che hanno donato la loro vita per la causa del Vangelo, e che saranno canonizzati oggi nel corso di questa celebrazione storica. La splendida fioritura della Chiesa di oggi in Corea è realmente frutto della testimonianza eroica dei martiri. Anche oggi il loro spirito immortale sostiene i cristiani della Chiesa del silenzio nel Nord di questo Paese tragicamente diviso”. 

Dall’ 11 al 17 Giugno, Giovanni Paolo II si reca in viaggio apostolico nella secolarizzata Svizzera. Commenta un giovane di quel tempo: “Quando Giovanni Paolo II è venuto in Svizzera nel giugno 1984, non volevo andare a vederlo. Ero l’unico cattolico della mia classe e non volevo che gli altri si burlassero di me. Per dichiararsi cattolico in un cantone protestante, ci vuole un po’ di coraggio. Ma mio padre mi ha chiesto di riflettere, ben 3 volte, con dolcezza. “Vedi, è storico. Non è spesso che viene un Papa da noi. Tu dovresti andare, che ne pensi … ? ”. E sono andato. Al ritorno dell’ incontro con 10 000 giovani, ho voluto ancora guardare alla TV. Ho sentito che diceva delle cose intelligente e vere. Ero anche gioioso nel pullman nel viaggio di ritorno. E vero che l’indomani ho detto che ero andato a vedere il Papa e c’era anche una ragazza che era andata. Eravamo comunque le due con delle famiglie praticante che andavano a messa ogni domenica”. Dalla testimonianza possiamo comprendere quanto difficile sia stato il pellegrinaggio in terra Elvetica. L’incontro ecumenico con i rappresentanti delle Chiese, fu un accorato appello a ricercare l’unità tra tutti i credenti: “Certo, quando la Chiesa cattolica entra nell’impresa ecumenica, severa ed irta di difficoltà, essa porta con sé una convinzione. Nonostante le miserie morali che nel corso della storia hanno contraddistinto la vita dei suoi membri e persino quella dei suoi responsabili, essa è convinta di aver conservato nel ministero del Vescovo di Roma, in piena fedeltà alla tradizione apostolica e alla fede dei padri, il polo visibile dell’unità e la garanzia di questa. Già sant’Ignazio di Antiochia non salutava forse la Chiesa “che presiede nella regione dei romani” come quella “che presiede alla carità”, alla comunione? La Chiesa cattolica, in effetti, crede che quel vescovo, il quale presiede alla vita della Chiesa locale fecondata dal sangue di Pietro e Paolo, riceve dal Signore la missione di rimanere il testimone della fede confessata da questi due corifei della comunità apostolica e che, nella grazia dello Spirito Santo, fa l’unità dei credenti. Essere in comunione con lui significa attestare visibilmente di essere in comunione con tutti gli uomini e le donne che confessano la medesima fede, che l’hanno confessata dal giorno della Pentecoste e che la confesseranno “finché non venga” il giorno del Signore. Questa è la nostra convinzione di cattolici, e noi sappiamo che la nostra fedeltà a Cristo non ci consente di rinunciarvi. Noi sappiamo pure che tutto ciò costituisce una difficoltà per la maggior parte di voi, la cui memoria è forse segnata da certi ricordi dolorosi per i quali il mio predecessore Paolo VI implorava il vostro perdono. Bisognerà tuttavia discuterne in spirito di franchezza e amicizia. con quella serietà pregna di promesse che il lavoro di preparazione del documento di “Fede e costituzione” su “Battesimo, Eucaristia e Ministero” ha già manifestato. Se il movimento ecumenico è veramente sostenuto dallo Spirito Santo. questo momento giungerà”.

Dal 09 al 20 Settembre 2004, venne compiuto un viaggio all’altra estremità del mondo: il Canada. Fece tappa a Montreal, presso l’Oratorio dedicato a San Giuseppe. Per quell’occasione diede lettura di una preghiera da lui composta e dedicata proprio al nostro caro Santo, recandosi alla tomba di Sant’ André Bessette, che ne fu grande devoto, nonché ideatore dell’ oratorio canadese (il più grande del mondo!) dedicato proprio al Padre e Custode di Gesù. Nelle parola del Santo Padre, fratello André era ancora definito “beato”, è stato infatti canonizzato il 17 ottobre 2010, da Papa Benedetto XVI. Ecco le parole pronunciate per l’occasione da Papa Woityla:“Cari religiosi di Santa Croce, Vi ringrazio per la vostra calorosa accoglienza. Avrei voluto intrattenermi più a lungo con voi per parlare non soltanto del beato fratello André, ma anche dell’apostolato dei padri e dei fratelli di Santa Croce, in Canada e in tutti i Paesi dove voi curate l’educazione cristiana dei bambini, dei giovani, degli studenti, e vi occupate delle altre necessità spirituali nel campo dell’azione cattolica o in quello editoriale. Per questi servizi sociali, per questa testimonianza ecclesiale, formulo voti ferventi a favore di tutta la vostra congregazione. Fin dall’inizio i vostri fondatori si erano posti sotto la protezione della Sacra Famiglia e specialmente di san Giuseppe. Ed è stato uno dei più umili fra di voi, il portinaio del collegio, André Bessette, che ha portato al grado più alto la fiducia nell’intercessione di san Giuseppe. “Pauper servus et humilis”, il fratello André viene ora elevato al rango dei beati. In questo memorabile luogo di Montréal, in questo grandioso oratorio, che è nato dalla sua ardente devozione, invece di fare un discorso, vi invito ad unirvi alla mia preghiera a san Giuseppe e al beato André”. Durante la trasferta Canadese non mancè l’incontro con i nativi amerindi e inuit: Vi ringrazio di cuore per essere venuti da tutte le vostre regioni, anche le più lontane, per darmi l’occasione di incontrarvi, come incontrerò i vostri fratelli e sorelle a Huronia e a Fort Simpson. Voi rappresentate i primi abitanti di questa immensa regione dell’America del Nord. Per lunghi secoli voi l’avete segnata con la vostra impronta, le vostre tradizioni, la vostra civilizzazione. Altre ondate di popolazioni sono venute dall’Europa, con le loro culture e con la fede cristiana. Esse hanno preso posto accanto a voi; questo continente così vasto permetteva una coabitazione che ha avuto le sue ore difficili ma che si è anche rivelata fruttuosa. Dio ha dato la terra a tutti gli uomini. Oggi voi avete il vostro posto ben segnato in questo Paese. Senza perdere nulla della vostra identità culturale, avete compreso che il messaggio cristiano vi era stato destinato da Dio, come agli altri. Oggi, vengo a salutare voi, gli autoctoni, che ci avvicinate alle origini del popolamento del Canada, e vengo a celebrare con voi la nostra fede in Gesù Cristo. Mi ricordo di quel giorno della beatificazione di Kateri Tekakwitha, a Roma, dove parecchi di voi erano presenti. Non dimentico i calorosi e pressanti inviti che mi avete rivolto, ma non potevo recarmi a visitare ciascuno dei vostri villaggi e territori: quelli delle differenti nazioni di Amerindi, dispersi in numerose regioni del Canada, e quelli degli Inuit, il cui orizzonte familiare è quello delle nevi e dei ghiacci prossimi al Polo Nord. È per questo che ho voluto incontrarvi qui, a Sainte Anne de Beaupré, su questo stesso terreno in cui ogni anno piantate le vostre tende. Voi venite qui in pellegrinaggio, per pregare sant’Anna, che chiamate, in maniera così toccante, la vostra nonnina. I vostri avi sono venuti spesso a pregare qui, dopo che gli Huroni vi fecero il loro primo pellegrinaggio nel 1671 e i Micmacs nel 1680. Essi entravano così in questo grande movimento popolare che avrebbe fatto di questo luogo uno dei santuari più frequentati dell’America del Nord”.  Nel corso dell’anno Giovanni Paolo II, in Italia andò pellegrino a Bari e Bitonto, Viterbo, Fano, Alatri, Calabria, Lombardia e Piemonte. Mentre all’estero visitò Saragozza, Santo Domingo e Puerto Rico.  Gli Angelus tenuti furono 58, mentre le udienze generali raggiunsero quota 45. a cura di Ornella Felici 

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