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Si discute al Consiglio d’Europa sulla libertà di religione. Perché non sia un diritto astratto

PACELa libertà di religione è un diritto fondamentale ed è tra le basi di una società democratica e pluralista. L’intolleranza e la discriminazione fondate sulla religione o sull’ideologia riguardano gruppi minoritari in Europa così come persone che appartengono a gruppi religiosi maggioritari. Eppure, gli atti di ostilità, violenza e vandalismo contro i cristiani e i loro luoghi di culto non sono abbastanza presi in considerazione e condannati. È quanto si osserva, in estrema sintesi, nel progetto di risoluzione intitolato Tackling intolerance and discrimination in Europe with a special focus on Christians, in discussione oggi all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, riunita a Strasburgo dal 26 al 30 gennaio.

Gli Stati membri del Consiglio d’Europa — chiede il relatore del rapporto, Valeriu Ghiletchi, rappresentante della Repubblica di Moldova nonché pastore battista — dovrebbero essere invitati a promuovere una cultura del vivere insieme. La libertà di espressione ha bisogno di essere protetta al pari dell’esercizio pacifico della libertà di riunione, e il principio dell’intesa ragionevole dovrebbe essere utilizzato sempre, al fine di rispettare le convinzioni religiose delle persone, in particolare sui luoghi di lavoro e in materia di educazione. Spetta ai singoli Paesi vigilare affinché i diritti altrui siano allo stesso modo protetti. Ed è fondamentale che gli Stati condannino e sanzionino i discorsi improntati all’odio e qualsiasi atto di violenza, compresi quelli contro i cristiani.

Nelle conclusioni, Ghiletchi ricorda che la libertà di religione è un diritto protetto da trattati internazionali. Eppure, da qualche anno, «l’ostilità verso la religione in Europa dà luogo a numerosi atti di violenza e vandalismo e a restrizioni riguardanti l’espressione della fede». Ne sono vittime i gruppi religiosi minoritari come quelli maggioritari. Si tratta di un fenomeno che «nega il contributo della religione alle nostre società e danneggia il carattere democratico e pluralista dei nostri Stati».

Anche se la risposta giuridica resta importante, la legislazione non è che un elemento nell’insieme degli strumenti che permettono di affrontare le sfide dell’intolleranza e della discriminazione verso i cristiani. Ogni legislazione in questo campo — sottolinea il rapporto — «dovrebbe essere accompagnata da iniziative provenienti da differenti ambiti della società ed espressione di un insieme di politiche, pratiche e misure tese a sviluppare la coscienza sociale, la tolleranza, la comprensione, il cambiamento e il dibattito pubblico. Lo scopo finale è creare e rafforzare una cultura della pace, della tolleranza e del rispetto reciproco fra cittadini, funzionari pubblici e membri della magistratura, nonché sviluppare il senso etico e di responsabilità sociale dei media e dei rappresentanti religiosi o comunitari».

Secondo Valeriu Ghiletchi, il ricorso all’intesa ragionevole in materia di convinzioni religiose consentirebbe di fare in modo che «la protezione accordata alla libertà di religione dal diritto internazionale venga effettivamente applicata negli Stati membri del Consiglio d’Europa e che il diritto di praticare la propria religione non sia una parola vana».

L’Osservatore Romano, 30 gennaio 2015.

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