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Il culto al Sacro Cuore di Gesù. San Giovanni Paolo II ne fu un grande innamorato

La devozione al Sacro Cuore di Gesù, riconosciuta con una festa universale della Chiesa da Pio IX nel 1856, si affermò grazie al lavoro e alle sofferenze di molti suoi apostoli che, fedeli alla Volontà del Signore, seppero superare ogni ostacolo.

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È ben noto come la devozione al Sacro Cuore di Gesù, che pure ha ben salde radici nella Sacra Scrittura e nella Tradizione spirituale patristica e medievale, sia in gran parte dovuta alle rivelazioni divine manifestate all’umile Visitandina santa Maria Margherita Alacoque (1647-’92). La giovane Suora, amante devota della ferita del Costato di Gesù, venne introdotta sempre più da quattro grandi rivelazioni divine (tra il 1673 e il 1675) all’interno della sacra Piaga per scoprire come le ferite del corpo di Gesù nascondano in realtà la più vera e profonda Passione di Cristo, quella del suo divin Cuore. Le «ingratitudini, i disprezzi e la freddezza degli uomini», come Gesù stesso rivelò a santa Margherita, sono infatti per il Cuore del Salvatore «ben più dolorose di tutto ciò che soffrì nella Passione». Pertanto lo stesso amabile Redentore le indicò la riparazione a queste indifferenze come palliativo ai suoi dolori, chiedendole in particolar modo di venerare e diffondere la venerazione al suo Sacro Cuore, la consacrazione a Questo, la Comunione riparatrice il primo venerdì del mese e l’istituzione di una festa. Questo grande e sublime compito affidato alla Santa, «abisso d’indegnità e ignoranza», fu in realtà anche il grande martirio della sua vita religiosa piena di sofferenze, umiliazioni e persecuzioni.

I collaboratori di santa Margherita: un Santo e il suo Ordine

Il Signore però, in una celebre apparizione del Cuore squarciato incoronato di spine, le aveva già mostrato come non sarebbe stata sola in quest’opera di diffusione del suo amore al mondo. L’ordine della Visitazione, di cui santa Margherita faceva parte, era certo stato scelto per «conoscerlo e diffonderlo» ma anche la Compagnia di Gesù, fondata da sant’Ignazio di Loyola, avrebbe dovuto «farne vedere e sperimentare l’utilità e il valore, affinché gli uomini ne possano approfittare, ricevendolo col rispetto e la riconoscenza dovuti a un così gran beneficio». Ciò non sarebbe stato senza effetti su tutta la Compagnia e su ogni singolo Gesuita in quanto «a misura che essi consoleranno per siffatto modo, il divin Cuore, questo stesso Cuore, sorgente di benedizioni e di grazie, le spanderà così abbondantemente sulle funzioni del loro ministero, che produrranno dei frutti al di là delle loro fatiche e delle loro speranze, anche per la salute e perfezione di ciascuno di loro».
Questa investitura divina non fu senza effetto: proprio in quegli anni risiedeva a Paray-le-Monial, luogo delle apparizioni del Sacro Cuore, un giovane Sacerdote gesuita, san Claudio La Colombière (1641-’82). Questi, già ben esperto nella vita spirituale e apprezzato direttore di anime, comprese come santa Margherita Maria fosse un’anima privilegiata e riconobbe immediatamente nelle rivelazioni di cui gli parlava il segno dell’unzione divina per espandere in tutto il mondo le fiamme dell’ardente carità di Cristo. Proprio per questo san Claudio consacrò se stesso al Sacro Cuore e poi diffuse tale devozione a tutte le anime che dirigeva, adoperandosi soprattutto tra le superiore di santa Margherita perché si facessero strumenti di promozione di questo portentoso mezzo di santificazione delle anime.
Chiamato in Inghilterra come predicatore di corte della Regina cattolica Maria Beatrice d’Este seppe infiammare anche il cuore di questa giovane sovrana, tra le prime promotrici del riconoscimento ufficiale del culto, e utilizzare l’amore del Cuore di Gesù per far breccia in tante anime di eretici e scismatici. Ritornato in Francia, nei mesi prima della prematura morte, seppe poi ben adoperarsi presso i giovani discepoli della Compagnia di Gesù perché prendessero in mano il testimone di questa grande devozione, della quale i suoi scritti postumi, soprattutto i Retraites spirituelles, furono un grande mezzo di diffusione.

L’anima gesuita e il Sacro Cuore di Gesù

Se l’ordine della Visitazione aveva nel suo fondatore, san Francesco di Sales, uno dei santi precursori del culto al Sacro Cuore, anche la Compagnia di Gesù sembrava già essere stata pensata e ispirata dal Signore come particolarmente adatta ad assumere la spiritualità del Cuore del Dio-Uomo: l’ansia per la salvezza delle anime, il desiderio di portare a costo di qualsiasi sacrificio la redenzione ad ogni uomo, l’attenzione alla penitenza interiore più che a quella esteriore, la cura della purezza di cuore e all’acquisto delle virtù, sono tra le caratteristiche gesuitiche che più preludevano al contenuto di questa sublime devozione.
Sono molti i Religiosi della Compagnia, anche prima delle apparizioni a santa Margherita, a parlare più o meno apertamente del Sacro Cuore di Gesù e del suo doveroso culto, sia trovandone le basi teologiche sia delineandone le conseguenze spirituali e interiori.
In particolare nel grande Dottore della Chiesa, san Pietro Canisio, si può scorgere questa connaturalità della devozione al Sacro Cuore di ogni anima autenticamente gesuitica. Al momento della sua Professione religiosa solenne, nelle mani di sant’Ignazio nella Basilica Vaticana, il pensiero della sua povertà e bassezza lo sconfortava facendolo quasi recedere dalla scelta di donarsi a Dio, sennonché fu proprio una spinta interiore (e forse una visione intellettuale) a fargli comprendere come proprio questa sua umiliazione gli consentisse d’introdursi più profondamente nella piaga del Costato di Cristo fino ad abbeverarsi alla sorgente delle grazie, il Cuore grondante di sangue di Nostro Signore. Da quel momento il grande Apostolo olandese non smise mai di recitare quotidianamente delle preghiere da lui composte al Sacro Cuore e di consigliare a tutti i figli spirituali «di unire la loro volontà al Cuore di Gesù e di fare il loro nido in questo Sacratissimo Cuore». Come poi osserva un grande studioso del Sacro Cuore, il gesuita Padre Bainviel, non è raro che, prima e dopo le apparizioni a Paray le Monial, nei collegi e nelle chiese della Compagnia la rappresentazione del Cuore divino di Gesù trovasse ampio spazio, spesso fondendosi e completando lo stesso emblema della Compagnia di Gesù accanto al nome di Gesù (IHS), ai tre chiodi e ai raggi solari.

Gesù Sacro Cuore

I primi apostoli del Sacro Cuore

La diffusione della devozione e l’adempimento delle richieste del Sacro Cuore a santa Margherita non furono certo prive di difficoltà e di tribolazioni, come già dovettero sperimentare la stessa Santa e il suo santo Confessore. San Claudio ebbe a capire, dalla sua esperienza, come gli apostoli e i devoti del Sacro Cuore non avrebbero potuto essere veramente tali se non rivivendo in loro le stesse sofferenze del divin Cuore, più interiori che esteriori. Come scrisse lo stesso Santo: «Nessuno può conoscere i misteri di questo Cuore, se non ha provato il calice di amarezze così pienamente bevuto da Cristo nell’orto degli ulivi», infatti, «gli amici di Cristo non possono sfuggire alla dolorosa spada delle persecuzioni».
Lo stesso accadde anche ai primi grandi apostoli del Sacro Cuore, discepoli di san Claudio e collaboratori di santa Margherita, cioè i Padri gesuiti Jean Croiset (1656-1738) e Pierre de Gallifet (1663-1749). Per quanto il Signore avesse rivelato alla Santa visitandina che i Gesuiti erano stati scelti per diffondere la devozione al Sacro Cuore, e in tal modo accrescere anche la loro efficacia apostolica, l’esperienza di questi primi due apostoli non fu certo del tutto felice, persino con i loro stessi confratelli. Jean Croiset, stimato professore dei collegi della Compagnia di Gesù, fu introdotto alla devozione al Sacro Cuore dal Padre La Colombiere e, conquistato dall’amore del Cuore divino, si diede anima e corpo a comporre un’opera spirituale e devozionale su questo culto. Proprio per questo intrattenne un fitto contatto epistolare con santa Margherita, grazie alla quale le pagine del libro del Croiset si approfondirono e si rischiararono in virtù delle sue dirette esperienze spirituali e dei messaggi ricevuti dalla voce stessa del Redentore. Alla morte della Santa il devoto Gesuita decise di pubblicare l’opera insieme a una breve vita della Monaca visitandina: tale libro fu un immediato successo, soddisfacendo le ansie dei semplici devoti così come di molti Religiosi. Non dello stesso parere furono però i confratelli del Croiset che videro nell’opera del Gesuita un fastidioso sentore di novità: le nuove pratiche devozionali di riparazione, richieste da Gesù, e l’accentuazione della carnalità del Cuore destarono i sospetti persino del generale della Compagnia, Tirso Gonzalez (1624-1705), il quale esortò il Croiset e tutti i Gesuiti ad evitare di pubblicare altre opere sull’argomento e soprattutto ad astenersi dal cercare un riconoscimento pubblico del culto. Il giro di vite contro Padre Croiset e la diffusione del culto del Sacro Cuore, anzi, si strinse ancor più quando fu chiaro che anche Roma voleva frenare l’entusiasmo verso questo: il Croiset fu così prima estromesso da qualsiasi cattedra dal suo Provinciale e in seguito, nel 1704, come somma umiliazione, il suo libro fu messo all’indice, dove vi sarebbe rimasto sino al 1887.
Analoga fu la vicenda del Padre de Gallifet, discepolo diretto di san Claudio a Paray-le-Monial e autore di uno dei libri più approfonditi sul culto del Sacro Cuore. Questi, arrivato a Roma come procuratore generale dell’Ordine, si votò a ottenere un’approvazione ufficiale del culto, in mezzo a mille ostacoli, spesso provenienti anche dai suoi confratelli e superiori, ma non ottenne alcun frutto. Eppure le lacrime e il sangue versato da questi primi due pionieri del culto del Sacro Cuore, per quanto infruttuose verso i superiori e la gerarchia ecclesiastica, fecondarono il terreno e di lì a poco la Compagnia di Gesù sarebbe divenuta con convinzione e tenacia la paladina del Cuore di Gesù.





Redazione Papaboys (Fonte www.settimanaleppio.it/Carlo Codega)

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