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Il ritrovamento. Il San Giuseppe di don Camillo riemerge dalle acque. E’ proprio lui!

Nel Mantovano riemerge dal Po un San Giuseppe. Il parroco di Brescello, successore di don Camillo, lo riconosce: “E’ la statua del presepe travolta dalla piena del Grande Fiume a dicembre. Un segno dal Cielo per dirci che il paese dopo l’alluvione deve rialzarsi”. E con tempistica perfetta: il ritrovamento nella Novena del Santo. Perché il Cielo è esplicito nel farsi comprendere.

Se fosse stato un racconto uscito dalla penna di Guareschi si sarebbe chiamato: “Il San Giuseppe che riemerge dalle acque”. Il riferimento al padre del Mondo Piccolo non è casuale, anzi è proprio voluto perché certe storie poteva raccontarle solo lui. Ma anche perché questa storia ha come teatro proprio Brescello, il paese reso immortale grazie alle vicende di Peppone e don Camillo: fede popolare e segni celesti e un don Camillo moderno ma non meno attento nel cogliere i messaggi del divino che arrivano.

Succede questo. Nei giorni scorsi a Motteggiana, in provincia di Mantova, due agricoltori hanno ritrovato sulla riva del Grande Fiume una statua di San Giuseppe. Era sporca di fango, ma intatta. I due, colpiti per quel ritrovamento hanno pensato di scrivere al giornale locale per annunciare che l’avrebbero donata al vescovo della città virgiliana.

Ma sull’altra sponda reggiana del Po don Camillo, che oggi si chiama don Evandro Gherardi ed è il vero successore del personaggio guareschiano in quanto parroco di Brescello, è sobbalzato sulla sedia: “Ma quella è la nostra statua di San Giuseppe!”.

Che cos’era successo? Era successo che la statua era stata travolta dalla piena dell’Enza, uno degli affluenti del Grande Fiume che proprio nella frazione di Lentigione di Brescello si butta in Po. E da quel giorno era sparita tra il rammarico dei fedeli per non essere riusciti a metterla in salvo in tempo dalla piena.

Questa infatti era arrivata inaspettata nella notte di Santa Lucia, il 12 dicembre scorso e la statua del papà putativo era stata appena collocata, assieme a quella della Madonna e dei pastori, sul sagrato antistante la chiesa della piccola località, che guarda proprio il gigante delle acque che da queste parte è un po’ un mostro sacro, nel bene e nel male dato che ogni paese rivierasco sa che il Po toglie, ma dà anche.

Ebbene. Il presepe era stato allestito l’8 di dicembre come da tradizione, con la sola eccezione del Gesù Bambino che sarebbe arrivato a completare il quadro della Natività nella notte del 24 dicembre. Però la piena aveva travolto tutto, disperdendo la Sacra Famiglia, ma soprattutto provocando molti danni dai quali la piccola comunità oggi fatica ancora a riprendersi.

“Nei giorni successivi – ha detto don Evandro alla Nuova BQ – trovammo tutte le statue nei campi allagati in cui le acque si erano ritirate, ma all’appello mancava soltanto il San Giuseppe”. Da lì lo sconforto perché la scomparsa del “divino custode dell’eletta prole” era stata vissuta con un misto di pessimismo e fatalità.

Passano i mesi e la vita a Lentigione ha cercato di riprendere anche se con grande difficoltà. “Lentigione è un Paese in ginocchio, molte attività commerciali sono ancora chiuse tanto che alcuni abitanti stanno pensando seriamente di lasciare il paesino per andare altrove”, dice il don. Insomma: c’è il serio rischio di un’emigrazione forzata causata da un evento naturale. Il Grande Fiume dà, ma anche toglie.

Nei giorni scorsi il ritrovamento della statua, che nel corso di questi mesi ha fatto più di 60 km in direzione est per andare ad arenarsi, intatta, ma sporca, sulla riva lombarda del Po, dove gli agricoltori l’hanno salvata come un Mosè infreddolito.

“E’ stata una sorpresa, un segno del Cielo – ha detto don Evandro – e noi che crediamo sappiamo che niente arriva a caso”. La comunità è felicissima per questo ritorno a casa che verrà ufficializzato da una cerimonia nei prossimi giorni con il vescovo di Mantova, destinatario iniziale del dono che, una volta conosciuta la storia ha accettato volentieri di presenziare alla cerimonia di riconsegna.

Don Evandro, che è uomo combattivo e di fede dice che “con questo ritrovamento il Cielo ci vuole dire qualche cosa di importante: non bisogna perdere la speranza, neanche quando tutto sembra crollare o sembra perduto”, come è la sensazione di chi vede che tutto viene trascinato via dalla potenza delle acque.

Questa è la storia, che a buon diritto potrà essere raccontata con i contorni leggendari per i prossimi secoli, come prova della fede di un popolo abituato ancora a scrutare i segni del Cielo e a lasciarsi docilmente plasmare.

Ma ciò che è di più straordinario è un altro fatto che non è sfuggito ai fedeli. Poteva essere recuperato in febbraio oppure in aprile. Invece il ritrovamento è avvenuto il 10 di marzo, all’inizio di quella che tradizionalmente la Chiesa definisce la Novena di San Giuseppe. Lunedì infatti sarà la solennità del Santo e il fatto che il ritrovamento sia avvenuto proprio durante il periodo che liturgicamente prepara alla sua festa non può non essere visto come una semplice coincidenza. Perché quando il Cielo parla è abbastanza esplicito nel farsi comprendere anche ai cuori più duri.

di Andrea Zambrano per La Nuova Bussola Quotidiana

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