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Quel discorso ‘pungente’ che Papa Luciani non fece in tempo a leggere ai gesuiti perchè morì…

Questo Discorso Giovanni Paolo I NON fece in tempo a leggerlo perché morì la notte stessa… le parole precise erano queste: “non permettete che insegnamenti e pubblicazioni di gesuiti abbiano a causare confusione e disorientamento in mezzo ai fedeli; ricordatevi che la missione affidatavi dal Vicario di Cristo è di annunciare, in maniera bensì adatta alla mentalità di oggi, ma nella sua integrità e purezza, il messaggio cristiano, contenuto nel deposito della rivelazione, di cui interprete autentico è il Magistero della Chiesa…”; il testo integrale il sito Vaticano non lo ha mai pubblicato, ma lo troverete qui nel sito ufficiale dedicato a Papa Luciani.

Carissimi Padri della Compagnia di Gesù, A tre anni dalla conclusione della XXXII Congregazione Generale siete venuti da tutte le Province dell’Ordine a Roma per riflettere insieme, per consultarvi, per fare un esame di coscienza, intorno al vostro Preposito Generale, circa la vita e l’apostolato della Compagnia, secondo quanto prescrivono le Costituzioni.

Desidero dirvi, anzitutto, la mia gioia per questo mio primo incontro con un gruppo così qualificato di figli di S. Ignazio e, altresì, manifestare a voi, ed in voi a tutti i vostri confratelli sparsi per il mondo, la riconoscenza della Chiesa per tutto il bene che il vostro Ordine, fin dalla sua fondazione, ha operato nella Chiesa : un gruppo unito e compatto, quasi una “compagnia di ventura”, desiderosa di mettersi, non alla mercé delle ambizioni politiche di signorotti della terra, ma “sub crucis vexillo Deo militare, et soli Domino et Ecclesiae Ipsius Sponsae, sub Romano Pontifice, Christi in terris Vicario, servire”. L’ iniziale piccolo gruppo, riunito attorno ad Ignazio di Loyola, non si lasciò scoraggiare da alcuna difficoltà, ma, dilatando i propri orizzonti, si lanciò, “ad maiorem Dei gloriam”, alle forme più svariate di apostolato, come sono già descritte nella “Formula Instituti”, approvata dal mio Predecessore Paolo III, nel 1540, e confermata da Giulio III, nel 1550. La Compagnia di Gesù, aperta fin dalle sue origini alle complesse problematiche spirituali emergenti dalla cultura rinascimentale, si presentava saldamente compatta ed unita con uno speciale vincolo al Romano Pontefice a Lui obbedendo “sine ulla tergiversatione aut excusatione illico” d ogni disposizione concernente il progresso spirituale delle anime, la propagazione della fede e le missioni. I Papi hanno costantemente e puntualmente voluto esternarvi la loro fiducia. Non posso, in questo momento, non ricordare il mio immediato e venerato Predecessore, il compianto Paolo VI, il quale ha tanto amato, ha tanto pregato, ha tanto operato, ha tanto sofferto per la Compagnia di Gesù. Cito – tra i suoi vari documenti, testimoni della sua paterna sollecitudine per il vostro Ordine – la Lettera del 15 settembre 1973, scritta in vista della convocazione della XXXII Congregazione Generale; il mirabile discorso del 3 dicembre 1974, proprio all’ inizio della medesima Congregazione Generale, nel quale, parlando anche nella sua qualità di “Superiore Supremo della Compagnia”, dava alcune preziose indicazioni come espressione delle sue speranze nei lavori che stavano per iniziare; ed infine, la Lettera del 15 febbraio 1975, nella quale, ribadendo il suo “rispetto profondo e l’ amore appassionato” verso la Compagnia, riaffermava che essa aveva “una spiritualità, una dottrina, una disciplina, un’ obbedienza, un servizio, un esempio da custodire, da testimoniare”. Ho provato sereno conforto nell’ apprendere che, tra gli argomenti che dovrete trattare nelle vostre riflessioni in comune, ci sarà anche quello che riguarda l’ applicazione delle osservazioni fatte dal Santo Padre Paolo VI.
Anch’ io mi unisco ai miei Predecessori nel dirvi l’affetto che provo per il vostro Ordine, tra l’altro, anche per la lunga consuetudine che mi ha legato al Padre Felice Cappello, mio conterraneo e lontano parente, la cui memoria è sempre in benedizione.
Ma poiché voi, in questi giorni nel raccoglimento e nella preghiera, dovete procedere ad un esame circa lo stato della Compagnia, mediante una valutazione sincera, realistica e coraggiosa della situazione oggettiva, analizzandole, se necessario, le deficenze, le lacune, le zone d’ ombra, voglio affidare alla vostra responsabile meditazione, alcuni punti che mi stanno particolarmente a cuore. Nel vostro lavoro apostolico abbiate sempre presente il fine proprio della Compagnia “Istituita principalmente per la difesa e propagazione della fede e per il profitto delle anime nella vita e dottrina cristiana” (Formula dell’ Istituto). A questo fine spirituale e soprannaturale va subordinata ogni altra attività, che dovrà essere esercitata in maniera adatta ad un Istituto religioso e sacerdotale. Voi ben conoscete e giustamente vi preoccupate dei grandi problemi economici e sociali, che oggi travagliano l’umanità e tanta connessione hanno con la vita cristiana. Ma, nella soluzione di questi problemi, sappiate sempre distinguere i compiti dei sacerdoti religiosi da quelli che sono propri dei laici. I sacerdoti devono ispirare e animare i laici all’adempimento dei loro doveri, ma non devono sostituirsi ad essi, trascurando il proprio specifico compito nella azione evangelizzatrice. Per questa azione evangelizzatrice, S. Ignazio esige dai suoi figli una soda dottrina, acquistata mediante una lunga e accurata preparazione.
Ed è stata una caratteristica della Compagnia la cura sollecita di presentare nella predicazione e nella direzione spirituale, nell’ insegnamento e nella pubblicazione di libri e riviste, una dottrina solida e sicura, pienamente conforme all’ insegnamento della Chiesa, per cui la sigla della Compagnia costituiva una garanzia per il popolo cristiano e vi meritava la particolare fiducia dell’ Episcopato. Procurate di conservare questa encomiabile caratteristica; non permettete che insegnamenti e pubblicazioni di gesuiti abbiano a causare confusione e disorientamento in mezzo ai fedeli; ricordatevi che la missione affidatavi dal Vicario di Cristo è di annunciare, in maniera bensì adatta alla mentalità di oggi, ma nella sua integrità e purezza, il messaggio cristiano, contenuto nel deposito della rivelazione, di cui interprete autentico è il Magistero della Chiesa.
Questo naturalmente comporta che negli istituti e facoltà, ove si formano i giovani gesuiti, sia parimente insegnata una dottrina solida e sicura, in conformità con le direttive contenute nei decreti conciliari e nei successivi documenti della Santa Sede riguardanti la formazione dottrinale degli aspiranti al sacerdozio. E ciò è tanto più necessario in quanto le vostre scuole sono aperte a numerosi seminaristi, religiosi e laici, che le frequentano proprio per la sodezza e sicurezza di dottrina che sperano di attingervi.
Insieme con la dottrina, deve starvi particolarmente a cuore la disciplina religiosa, che ha pure costituito una caratteristica della Compagnia ed è stata da alcuni indicata come il segreto della sua forza. Acquistata attraverso la severa ascesi ignaziana, alimentata da un’intensa vita spirituale, sorretta dall’ esercizio di una matura e virile obbedienza, essa naturalmente si manifestava nell’ austerità della vita e nell’ esemplarità del comportamento religioso.
Non lasciate cadere queste lodevoli tradizioni; non permettete che tendenze secolarizzatrici abbiano a penetrare e turbare le vostre comunità, a dissipare quell’ ambiente di raccoglimento e di preghiera in cui si ritempra l’ apostolo, ed introducano atteggiamenti e comportamenti secolareschi, che non si addicono a religiosi. Il doveroso contatto apostolico col mondo non significa assimilazione al mondo; anzi, esige quella differenziazione che salvaguarda l’ identità dell’ apostolo, in modo che veramente sia sale della terra e lievito capace di far fermentare la massa. Siate perciò fedeli alle sagge norme contenute nel vostro Istituto; e siate parimente fedeli alle prescrizioni della Chiesa riguardante la vita religiosa, il ministero sacerdotale, le celebrazioni liturgiche, dando l’ esempio di quella amorosa docilità alla “nostra Santa Madre Chiesa gerarchica” – come scrive S. Ignazio nelle “Regole per il retto sentire con la Chiesa” – perché essa è la “vera sposa di Cristo, Nostro Signore” (cf. Exerc. Spirit., n. 353). Questo atteggiamento di S. Ignazio verso la Chiesa deve essere tipico anche dei suoi figli; e mi piace a questo proposito ricordare la lettera dello stesso Santo a S. Francesco Borgia, del 20 settembre 1548, nella quale raccomandava “L’ umiltà e la riverenza verso la nostra Santa Madre Chiesa e quelli che hanno il compito di governarla e di ammaestrarla” (Epist. et Instruct., 11, 236).
Accogliete queste mie paterne raccomandazioni con lo stesso spirito di sincera carità con cui ve le rivolgo, unicamente desideroso che la vostra e mia Compagnia anche oggi pienamente corrisponda alle intenzioni del Fondatore ed alle attese della Chiesa e del mondo. Precedano i Superiori col loro esempio “Forma facti gregis ex animo” (1 Petr. 5, 3) e con la loro azione paterna, ma ferma e concorde, conscii della loro responsabilità davanti a Dio e alla Chiesa. Cooperino tutti i Padri e Fratelli, memori dei sacri impegni che hanno assunto con la loro professione religiosa in questo Ordine, unito al Vicario di Cristo con uno speciale vincolo di amore e di servizio.E’ il Vicario di Cristo che vi parla, è il nuovo Papa che tanto aspetta e spera della Compagnia, dal suo molteplice e coraggioso apostolato, e ripete fiduciosamente all’odierno Preposito Generale quel detto, attribuito – se ben ricordo – a Papa Marcello II e rivolto a S. Ignazio: “Tu milites collige et bellatores instrue; nos utemur” (N. Orlandini, Historia Societatis Iesu, p. I, I. XV, n. 3). La Chiesa anche oggi ha bisogno di apostoli fedeli e generosi che, come tanti figli della Compagnia, sappiano intraprendere e sostenere le più gravi e urgenti imprese apostoliche. “Ovunque nella Chiesa – diceva il mio venerato Predecessore Paolo VI – anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è il confronto fra le esigenze brucianti dell’ uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i Gesuiti” (Discorso del 3 dicembre 1974).
Ma quanto più ardue e difficili sono le imprese apostoliche a cui siete chiamati, tanto maggiore è la necessità di intensa vita interiore e costante unione con Dio, di cui S. Ignazio vi ha lasciato così luminoso esempio.






Da semplice Vescovo, quante volte ho portato S. Ignazio come modello da imitare ai miei sacerdoti! “Sia ciascuno di voi come Ignazio, in contemplatione activus et in actione contemplativus”, dicevo. E sottolineavo che già S. Agostino aveva scritto: “Nessuno deve essere così contemplativo da non pensare all’ utilità del prossimo; né così attivo da non cercare contemplazione di Dio” (De Civ. Dei, XIX, 19; PL 41, 647).
Per realizzare questo ideale è necessario vivere intimamente la propria consacrazione a Dio, osservare in pienezza i voti religiosi, conformarsi fedelmente alle regole del proprio Istituto, come hanno fatto i Santi della vostra Compagnia. Proprio nel giorno della sua professione religiosa, il gesuita S. Pietro Claver sottoscriveva l’atto con le parole: “Pietro, schiavo dei negri per sempre”, consegnandosi, per i quarant’ anni di vita che gli rimanevano, alle stive delle navi negriere, al porto e alle capanne di Cartagena, fratello vero di tutti i miseri che, dall’ Africa, venivano portati a lavorare come schiavi in America. Anch’ egli, però, in questa immane opera, come S. Ignazio, fu “in actione contemplativus”, fedelissimo, nella lettera e nello spirito, alle Regole della Compagnia.In questo modo, il fervore delle opere, unito alla santità della vita autenticamente religiosa, renderà efficace e feconda la vostra azione apostolica e sarà un magnifico esempio, che avrà un benefico influsso, sia nella Chiesa, sia specialmente in molti istituti religiosi, che guardano alla Compagnia di Gesù come un costante punto di riferimento.Con questi voti, invoco sui vostri lavori, larga effusione dei lumi dello Spirito Santo e impartisco di gran cuore a voi ed a tutti i Padri e fratelli della Compagnia sparsi in ogni parte del mondo, la mia Paterna Benedizione Apostolica.




Fonte www.papaluciani.it

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