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Quando Mons. Romero disse: ‘Se mi uccideranno, risorgerò nel popolo salvadoregno’

romero-300x241“Il martirio di monsignor Romero non fu solo nel momento della sua morte: iniziò prima, ma iniziò con le sofferenze per le persecuzioni precedenti alla sua morte e continuò anche posteriormente, perché non bastava che fosse morto: fu diffamato, calunniato, infangato. Il suo martirio continuò anche per mano dei suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato”. Lo ha affermato Papa Francesco in spagnolo concludendo, a braccio, il discorso ai partecipanti al pellegrinaggio da El Salvador, in Vaticano in segno di ringraziamento per la beatificazione del grande arcivescovo di San Salvador avvenuta il 23 maggio scorso.

Óscar Arnulfo Romero y Galdámez (Ciudad Barrios, 15 agosto 1917 – San Salvador, 24 marzo 1980) di El Salvador. A causa del suo impegno nel denunciare le violenze della dittatura fascista del suo paese, fu ucciso da un cecchino, mentre stava celebrando la messa. Nacque, secondo di otto fratelli, da una famiglia di umili origini. Manifestato il desiderio di diventare sacerdote, ricevette la sua prima formazione nel seminario di San Miguel (1930). I suoi superiori, notando la sua predisposizione agli studi e la docilità alla disciplina ecclesiastica, lo mandarono a Roma. Compì la formazione accademica nella Pontificia Università Gregoriana negli anni dal 1937 al 1942, nella Facoltà di Teologia, conseguendo il baccellierato, la licenza e continuando con l’iscrizione a un anno del ciclo di dottorato. Ordinato sacerdote il 4 aprile 1942, svolse il suo ministero di parroco per pochi anni. In seguito fu segretario di Miguel Angel Machado, vescovo di San Miguel. Venne poi chiamato a essere segretario della Conferenza episcopale di El Salvador.

Il 25 aprile 1970 venne nominato vescovo ausiliare di San Salvador, ricevendo l’ordinazione episcopale il 21 giugno 1970 da parte di Girolamo Prigione, nunzio apostolico in El Salvador. Diventò così il collaboratore principale di Luis Chávez y González, uno dei protagonisti della Seconda conferenza dell’episcopato latinoamericano a Medellín (1968). Il 15 ottobre 1974 venne nominato vescovo di Santiago de María, uno dei territori più poveri della nazione. Il contatto con la vita reale della popolazione, stremata dalla povertà e oppressa dalla feroce repressione militare che voleva mantenere la classe più povera soggetta allo sfruttamento dei latifondisti locali, provocò in lui una profonda conversione, nelle convinzioni teologiche e nelle scelte pastorali. I fatti di sangue, sempre più frequenti, che colpirono persone e collaboratori a lui cari, lo spinsero alla denuncia delle situazioni di violenza che riempivano il Paese. La nomina ad arcivescovo di San Salvador, il 3 febbraio 1977, lo trovò pienamente schierato dalla parte dei poveri, e in aperto contrasto con le stesse famiglie che lo sostenevano e che auspicavano in lui un difensore dello status quo politico ed economico. Romero rifiutò l’offerta della costruzione di un palazzo vescovile, scegliendo una piccola stanza nella sagrestia della cappella dell’Ospedale della Divina Provvidenza, dove erano ricoverati i malati terminali di cancro. La morte di padre Rutilio Grande, gesuita, suo amico e collaboratore, assassinato assieme a due catecumeni appena un mese dopo il suo ingresso in diocesi, divenne l’evento che aprì la sua azione di denuncia profetica, che portò la chiesa salvadoregna a pagare un pesante tributo di sangue. L’esercito, guidato dal partito al potere, arrivò a profanare e occupare le chiese, come ad Aguilares, dove vennero sterminati più di 200 fedeli. “Vi supplico, vi prego, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!”, gridò all’esercito e alla polizia. Come risposta a questa richiesta gli organi di stampa fedeli al regime pubblicarono una immagine di papa Giovanni Paolo II accompagnata da una frase del pontefice da intendere come monito: “Guai ai sacerdoti che fanno politica nella chiesa perché la Chiesa è di tutti”.

Le catechesi, le omelie, trasmesse dalla radio diocesana, vennero ascoltate anche all’estero, diffondendo la conoscenza della situazione di degrado che la guerra civile stava compiendo nel Paese. La popolarità crescente, in El Salvador e in tutta l’America latina, e la vicinanza del popolo, furono in contrasto con l’opposizione di parte dell’episcopato. Il 24 giugno 1978, in udienza da Paolo VI, denunciò: “Lamento, Santo Padre, che nelle osservazioni presentatemi qui in Roma sulla mia condotta pastorale prevale un’interpretazione negativa che coincide esattamente con le potentissime forze che là, nella mia arcidiocesi, cercano di frenare e screditare il mio sforzo apostolico” (Nota lasciata a Paolo VI da Romero non riuscì subito  ad ottenere l’appoggio del nuovo papa Giovanni Paolo II, che tenne conto delle sue notevoli capacità pastorali e della sua fedeltà al vangelo, ma fu molto cauto per il timore di una sua eventuale compromissione con ideologie politiche, in realtà infondata nel caso di Romero che era decisamente ortodosso, creando ostacoli tra l’America Latina e la Santa Sede. Il 2 febbraio 1980, a Lovanio, in Belgio, ricevette la laurea honoris causa per il suo impegno in favore della liberazione dei poveri.

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La morte. Il 24 marzo 1980, mentre stava celebrando la messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, fu ucciso da un sicario su mandato di Roberto D’Aubuisson, leader del partito nazionalista conservatore ARENA (Alianza Republicana Nacionalista). Nell’omelia aveva ribadito la sua denuncia contro il governo di El Salvador, che aggiornava quotidianamente le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni. L’assassino sparò un solo colpo, che recise la vena giugulare mentre Romero elevava l’ostia nella consacrazione. Durante le esequie l’esercito aprì il fuoco sui fedeli, compiendo un nuovo massacro. Il 6 marzo 1983 Giovanni Paolo II rese omaggio a Romero, venerato già come un santo dal suo popolo, sulla sua tomba, nonostante le pressioni del governo salvadoregno. Papa Francesco spera in una rapida conclusione della causa di beatificazione di Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador trucidato il 24 marzo 1980, mentre celebrava messa nella cappella di un ospedale a San Salvador. “La causa di beatificazione si è sbloccata”, ha annunciato il postulatore, monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la Famiglia.

In memoria del vescovo Romero. “In nome di Dio vi prego, vi scongiuro, / vi ordino: non uccidete! / Soldati, gettate le armi… / Chi ti ricorda ancora, / fratello Romero? Ucciso infinite volte / dal loro piombo e dal nostro silenzio. / Ucciso per tutti gli uccisi; / neppure uomo / sacerdozio che tutte le vittime / riassumi e consacri. Ucciso perché fatto popolo: / ucciso perché facevi / cascare le braccia / ai poveri armati, / più poveri degli stessi uccisi: / per questo ancora e sempre ucciso. Romero, tu sarai sempre ucciso, / e mai ci sarà un Etiope / che supplichi qualcuno / ad avere pietà. / Non ci sarà un potente, mai, / che abbia pietà / di queste turbe, Signore? / nessuno che non venga ucciso? / Sarà sempre così, Signore?” (David Maria Turoldo).




Servizio a cura di Massimo Francini

2 COMMENTI

  1. San Paolo scrive: Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati, siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Riferendomi alla barbara uccisione di questo vescovo, sono andato a rileggere, con tanta soffereza ma anche con profonda pace, questo testo della Scrittura, ed ho riflettuto come, ancora oggi, Il sacrificio di nostro Signore venga rinnovato nel sangue dei martiri alla stregua dell’Eucaristia. Mentre scrivo mi commuovo guardando la foto del fratello Romero, a lui la mia venerazione ed il mio affetto filiale. Don Salvatore ti ringrazio per il tempo che dedichi a tutti noi.

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