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Preoccupati per le accuse di eresia a Papa Francesco? A Giovanni Paolo II era andata molto peggio

Il documento contro le “eresieˮ   del Papa: toccò anche a Wojtyla – Dal fronte “sedevacantistaˮ, gliene attribuirono ben 101. Assai più numerose e diffuse furono le critiche a san Giovanni Paolo II dall’altro versante, da parte di teologi che contestavano il “centralismo romanoˮ. Il cardinale Müller fu soggetto ad esami di dottrina dai blogger

di Andrea Tornielli per Vatican Insider

La velocità del web e i social che fanno da ripetitore contribuiscono a ingigantire quanto sta accadendo – ad esempio nel caso della cosiddetta “correzione filialeˮ a Papa Francesco – come se mai nulla di simile fosse accaduto prima. Uno sguardo alla storia recente della Chiesa fa comprendere che così non è, e aiuta a riportare nel giusto alveo anche il documento firmato da 79 studiosi, ricercatori, giornalisti e blogger nel quale si sostiene che Papa Francesco ha propagato 7 “proposizioni ereticheˮ. Gli autori del testo, firmato anche dall’ex presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi, virgolettano 7 “eresieˮ in realtà mai scritte o pronunciate dal Pontefice, ma che sono da loro “dedotteˮ dal suo magistero e dai suoi interventi. Si tratta, con ogni probabilità, di un primo passo verso quella “correzione formaleˮ della quale ha parlato con frequenza il cardinale americano Raymond Leo Burke, uno dei quattro firmatari dei “dubiaˮ su Amoris laetitia presentati a Bergoglio.

Uno sguardo all’indietro aiuta a capire la reale portata del documento di cui si discute in questi giorni. Giovanni Paolo II, per le sue affermazioni in linea con il Concilio Ecumenico Vaticano II (vero oggetto del contendere di molti critici) in materia di ecumenismo, libertà religiosa e dialogo con le altre religioni, venne ripetutamente attaccato mentre era in vita. E dopo la sua morte c’è chi, nell’area più estrema del tradizionalismo rappresentata dal sedevacantismo (cioè da coloro che ritengono non esservi più un vero Papa sulla cattedra di Pietro da Pio XII in poi), è arrivato ad attribuirgli ben 101 “eresieˮ. Utilizzando, per contestarlo, citazioni estratte dai documenti dei Papi del passato.

Riguardano affermazioni di Papa Wojtyla sull’ecumenismo, cioè sui fratelli separati, che vengono appunto definiti fratelli e non più «figli del diavolo», la possibilità di definire “cristianiˮ anche i non cattolici, la salvezza possibile anche al di fuori dei confini visibili della Chiesa, o ancora la salvezza dei bambini morti senza il battesimo, la possibilità del martirio cristiano al di fuori della Chiesa cattolica, la definizione degli ebrei come «nostri fratelli», la libertà di coscienza come diritto umano, il diritto alla libertà di professare la propria fede anche per i non cattolici… Il tutto corredato di note che indicano dove e quando Giovanni Paolo II ha fatto certe affermazioni, e dove e quando i Papi del passato avevano affermato il contrario.

Ma non si deve dimenticare che nel caso appena citato si sta parlando di frange estremiste e marginali, che oggi si fanno conoscere sfruttando le potenzialità di Internet ma non hanno reale consistenza presso il popolo cristiano. Ben diverse per serietà, toni adoperati, argomentazioni proposte e proporzioni, furono le critiche e le petizioni rivolte a san Giovanni Paolo II dall’altro versante, cioè dai teologi contrari al cosiddetto “centralismo romanoˮ. Una critica al Pontefice polacco ma anche al suo Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger. Stiamo parlando della famosa Dichiarazione di Colonia, che fino a qualche anno fa veniva presentata come un «attacco al magistero» da parte di coloro che oggi si comportano allo stesso modo perché il magistero non dice esattamente ciò che essi pensano. I fimatari della dichiarazione non facevano certo gli esami di dottrina al Papa, come accade oggi, ma contestavano un allontanamento dalle istanze conciliari.

Nel 1989, promossa inizialmente dai teologi di Tubinga Norbert Greinacher e Dietmar Mieth e da un primo gruppo di dissidenti, la “lettera apertaˮ fu sottoscritta da 162 docenti di teologia cattolica di lingua tedesca. Venne quindi rapidamente firmata in Olanda da 17.000 laici ed ecclesiastici e, nell’allora Repubblica Federale Tedesca, 16.000 parroci e laici, insieme a un centinaio di gruppi cattolici. Analoghe dichiarazioni apparvero in Belgio, Francia, Spagna, Italia, Brasile e Stati Uniti. Il motivo scatenante della dichiarazione era stata la successione del vescovo di Colonia e la messa in discussione delle prerogative tradizionalmente concesse al capitolo di molte diocesi tedesche circa l’indicazione delle terne di candidati.

Si criticava dunque il «centralismo romano» e il mancato ascolto da parte della Santa Sede delle istanze e delle indicazioni delle Chiese locali. Si definiva «un grave pericolo e attentato alla libertà di ricerca» la negazione dell’autorizzazione ecclesiastica all’insegnamento a «teologi e teologhe qualificati». Si stigmatizzava il tentativo di «estendere in modo indebito la competenza magisteriale del Papa». Si usavano, nel documento, gli stessi argomenti oggi impugnati da chi contesta Francesco, invitando «i vescovi a ricordarsi dell’esempio di Paolo, che è rimasto in comunione con Pietro pur “resistendogli in faccia” nella questione della missione tra i pagani».

Il 15 maggio 1989 anche in Italia, cioè nella nazione considerata la più cattolica d’Europa e dove risiede il Papa che ne è anche primate, 63 teologi pubblicarono sulla rivista “Il Regnoˮ un loro documento di dissenso intitolato “Lettera ai Cristiani – Oggi nella Chiesaˮ, esprimendo il loro «disagio per determinati atteggiamenti dell’autorità centrale della Chiesa nell’ambito dell’insegnamento, in quello della disciplina e in quello istituzionale», manifestando «l’impressione che la Chiesa cattolica sia percorsa da forti spinte regressive». A firmarlo molti importanti docenti nelle facoltà teologiche e nelle università italiane. Abbiamo ricordato la Dichiarazione di Colonia non per suggerire improponibili paragoni con quanto accaduto in questi giorni, ma per documentare come dissensi e petizioni non rappresentino affatto una novità.

Tornando alle critiche provenienti dal versante “tradizionalistaˮ o comunque conservatore, non si devono dimenticare gli attacchi, talvolta feroci, contro Benedetto XVI per alcuni suoi interventi in tema di ecumenismo o per la decisione di partecipare all’incontro interreligioso di Assisi. E non va neppure dimenticato che critiche durissime vennero rivolte anche al cardinale (allora non ancora cardinale) Gerhard Ludwig Müller, nelle settimane precedenti la sua nomina a Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel 2012. Un’operazione condotta ad alto livello anche con sponde interne alla Curia romana, per mettere in luce alcune sue affermazioni giudicate “eterodosseˮ e tentare di bloccarne la nomina.

La traduzione in diverse lingue dei passaggi delle sue opere giudicati “dubbiˮ venne anonimamente fatta recapitare via email a diversi giornalisti nella speranza che si trasformassero in inquisitori contro Müller. E i testi diffusi in siti web e blog vicini al mondo cosiddetto tradizionalista e lefebvriano. Il futuro Prefetto aveva a suo tempo scritto che la dottrina sulla verginità di Maria «non riguarda tanto specifiche proprietà fisiologiche del processo naturale della nascita», che «il corpo e il sangue di Cristo non indicano componenti materiali della persona umana di Gesù nel corso della sua vita o della sua corporeità trasfigurata» e che grazie al battesimo «noi come cattolici e cristiani evangelici siamo già uniti persino in ciò che chiamiamo la Chiesa visibile».

In quel momento, in difesa di Müller, scese in campo don Nicola Bux, che era consultore della Congregazione per la dottrina della fede, il quale in una intervista con Vatican Insider disse: «Lo sviluppo dottrinale trae giovamento dal dibattito: chi più ha argomenti, convince. Nelle accuse a monsignor Müller si estrapola dal contesto: così è facile condannare chiunque. Un vero cattolico deve fidarsi dell’autorità del Papa, sempre».

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