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Popolarismo come teoria politica

unnamedITALIA ITALIA – Lo strepitoso successo renziano alle europee di maggio ha probabilmente accelerato in Italia la discussione sulla nascita nel centro-destra di un nuovo soggetto politico unitario collegato al Partito Popolare Europeo. Infatti, fra una lettera pubblica di Berlusconi, una dichiarazione di Alfano e un messaggio su Facebook di D’Alia non passa giorno che i vari leader della galassia “moderata” non intervengano per dire la propria sul futuro di quest’area politica la quale ha grosse responsabilità per la gestione – in molti degli ultimi vent’anni – del potere a livello nazionale e locale. Va notato che la riflessione odierna sul nuovo partito popolare sia anzitutto legata ad aspetti organizzativi e caratterizzata da dinamiche le quali dall’alto della classe dirigente si proiettano verso il basso dei sostenitori e dei probabili elettori. Nel condividere il pensiero di Sturzo il quale affermava che «ogni fatto storico si prepara con la formazione del pensiero», pare opportuno registrare che una nuova forma e prassi politica non possa sostenersi solamente su assemblaggi di uomini e di segreterie. Necessita, invece, una comune base ideale e culturale la quale riesca ad esprimere una peculiare visione del mondo in grado di rappresentare una parte importante del popolo italiano. Dunque, per evitare di far naufragare in partenza il progetto unitario dei moderati-popolari, urge legare la riflessione teorica alla prassi politica. Per far questo, bisogna seriamente pensare e proporre politicamente a partire da alcuni temi fondanti il disegno del futuro partito popolare, come: 1) la proposta/collocazione politica; 2) la conformazione del partito; 3) l’idea dello Stato e della società. Senza una comune elaborazione su questi temi, il nuovo partito non arriverà molto lontano.

La proposta/collocazione del nascituro soggetto popolare è chiamata ad intercettare il grosso dell’elettorato medio italiano caratterizzato generalmente da un’idea moderata della politica. Ciò dovrebbe escludere a priori ogni legame con forze estremistiche in senso federale ed etnico come la Lega Nord, o autoritario-nazionale come Fratelli d’Italia. A questo principio sarebbe auspicabile unire un’idea sistematica circa la dimensione etica della politica, che lungi dal voler proporre o rappresentare posizioni fondamentalistiche, sbaragli con serie tematiche e relative azioni ogni deriva legalistico-morale proveniente dagli innumerevoli, e altrettanto inefficaci, codici etici e della legalità. Per sviluppare questo punto, il recupero della lezione di Alcide De Gasperi parrebbe molto utile.

Sulla conformazione interna/esterna del nuovo partito va in primo luogo affermato che questo deve essere veramente democratico. Non è più il tempo dei signori delle tessere e nemmeno delle signorine di bella presenza legate a filo doppio ai capicorrente. La competenza e il radicamento sul territorio costituiscono le peculiarità primarie per la selezione e l’avanzamento della futura classe dirigente in grado di rispondere con competenza alle sfide odierne che impongono formazione e studio costante, capacità comunicative/relazionali e conoscenza delle dinamiche dei social network. Insomma, un partito dinamico e leggero il quale attraverso una solida robustezza contenutistica sia in grado di esprimere una laicità da ogni forma di confessionalismo o deriva economicistica, capitalistica, imprenditoriale. Dunque, un partito forte e popolare poiché capace di rimettere al primo posto la politica e la reale rappresentanza degli italiani.

In uno scenario sempre più europeo ed internazionale, il nuovo partito popolare dovrà possedere un’idea di Stato e di società al passo coi tempi. Dalla tradizione prima del P.P.I di Sturzo poi della D.C. dei vari De Gasperi, Dossetti, Fanfani, Moro e dalla Costituzione Italiana, il nuovo soggetto politico potrà attingere a temi come la sussidiarietà (intesa non come supplenza o surroga ma come soccorso e aiuto), il ruolo e le garanzie delle autonomie locali e dei corpi intermedi della società. In genere, il nascituro partito popolare dovrà garantire uno Stato democratico meno invadente che nella tutela di ogni settore e strato sociale garantisca non il bene di una parte, ma quello comune.

È chiaro che se il dibattito sul nuovo partito popolare rimanesse allo stato attuale, ovvero ai semplici tatticismi dei vari Berlusconi-Alfano-Casini in vista della loro permanenza su posizioni di forza e ove possibile di potere, ogni proposta teorico-pratica e qualsiasi partecipazione democratica dal basso cadrebbero nel dimenticatoio. Non sarebbe la prima volta e nemmeno l’ultima se a rappresentare il popolarismo del futuro saranno coloro che nonostante la gestione del potere per lungo tempo, non hanno riformato in senso popolare la nostra cara Italia. di Rocco Gumina

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