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Parlare di famiglia senza gridare

Parlare di famiglia senza gridareSenza gridare. Nel pomeriggio di sabato 17 gennaio, a Bari, su iniziativa di Segnaletica Familiare, si parlerà di famiglia senza urlare. I bambini, le cose importanti se le sussurrano all’orecchio. Con la mano che copre la bocca. Sono i segreti. Da ragazzi poi, quando ci innamoriamo, quando dobbiamo dirci qualcosa che viene da dentro, qualcosa che deve uscire per andare dentro a qualcun altro, per legarsi e per dirsi “sei tu”, allora sussurriamo. Nelle telefonate tra due che si amano, i saluti sono lunghi e il tono di voce si abbassa.

Da ragazzo, le cose più belle mio padre me le ha dette piano, con il suo tono di voce feriale. Il tono di quando devi dire qualcosa che viene da dentro e che vuoi che l’altro custodisca, quando vuoi che l’altro faccia terra con la tua parola come seme. È il tono di voce dell’amore, di chi è famiglia. Questo mio parlare di voci silenziose e di silenzio fatto di parole, non è una premessa a quello che dirò: è proprio quello che dirò, parlando a un appuntamento che avrò tra poco.

Spesso, soprattutto con i temi caldi, accade che urliamo, come se pensare di aver ragione non bastasse. Come se credere di essere nel vero non bastasse. Sabato 17 andrò a Bari ad un incontro sulla famiglia. Mi piace la parola incontro. Una riunione tra persone che si trovano per parlare di relazione e di famiglia, non può ricevere un complimento più bello di questo: essere un incontro. Qual è il taglio dell’incontro? Io cercherò di dire che “tre” è la cifra giusta della relazione e quindi della famiglia.

In giorni in cui l’Islam ci sta obbligando a pensare a loro, mi meraviglio nel considerare come credano che il cristiano sia un politeista: ed è così per via della Trinità. Che per me è la cifra dell’amore, non solo della famiglia: due che si amano e che diventano tre trasformandosi in quello che erano già da prima, cioè uno. E non penso solo all’atto sessuale. Il peggior nemico delle famiglie non sono le tante cose che si dicono in genere ma l’amore autarchico delle coppie perfette dei genitori perfetti.

Quelle del “t’amo tantissimo” detto di continuo, di “sei la vita mia” ripetuto senza tregua, “fragolina”, “tesorino”, “patatina” ancora e ancora. Quelle che si tengono sempre per mano, che non riesci ad avere un rapporto con uno solo che arriva l’altro: e infatti i medici dicono che coppie genitoriali così escludono i figli peggio che se li abbandonassero.

Uno parla e l’altro ride, uno inizia una frase e l’altro la finisce, uno dice il soggetto e il verbo e l’altro i complementi. “Amore mio vieni qua: senti che dice papà”: no, lei vuole parlare con te, non con papà. “Avete una grande madre”: e io, figlio, come faccio coi miei difetti?

In questi mesi di blog Come Gesù e di tanti articoli, ho trovato che ci sono famiglie così e che ci sono corpi sociali intermedi così. Nella realtà e su Internet: gente che ama la parabola del buon pastore (Gv 10) perché non vede l’ora di far diventare il recinto, un muro, e di mettersi alla porta per fare il doganiere.

A Bari dirò che la coppia è formata da tre persone. La famiglia che funziona è la famiglia allargata. Che non vuol dire solo due famiglie sfasciate e confusione di cognomi e di vite. Vuol dire anche “famiglia larga” come ha detto Papa Francesco pochi giorni fa. Cercate di capirmi.

La famiglia allargata è la famiglia in cui la gente si allarga. Dove chi entra, entra a casa propria e non si sente mai non di famiglia. E se vuole, poi, può uscire. Famiglia allargata vuol dire che c’è sempre un posto vuoto per il terzo, un luogo della mente libero per accogliere un pensiero che pensavo non esistesse. La famiglia è relazione e vuol dire che cammina, vive, paga, prende il resto, saluta, litiga, se ne va, torna, genera. Una famiglia inizia tra due ma è sempre generativa di altro. La famiglia è un condominio di persone senza portineria e orari di chiusura. La coppia perfetta è un tre, dove tutto si genera e tutto procede e dà vita a tutto.

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffingtonpost.

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