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Ma di cosa si parla quando si dice “terzo mondo”? Spiegatemelo, perché per me non ha senso

Ma di cosa si parla quando si dice “terzo mondo”? Spiegatemelo, perché per me non ha sensoBrutto scivolone di Alberoni su Il Giornale di ieri. Brutto soprattutto perché è sociologo e certe cose me le dovrebbe insegnare lui. Chiama il Papa “terzomondista”. Al di là di tanti discorsi, se quella dei barconi è o no un’invasione o una terza guerra mondiale, vorrei capire, vorrei chiedere. Appartenere e stare dalla parte del terzo mondo può essere un insulto? Ma, prima di tutto, esiste ancora il terzo mondo?
Quando andavo a scuola io, “terzo mondo” era un’espressione per dire il mondo al sud dell’emisfero. Il mondo che, per lo più, era fuori dalle rotte del benessere, del profitto, insomma del mio mondo ricco e sviluppato e dell’altro mondo che era quello oltre il Muro di Berlino.
Usare oggi questa parola è, secondo me, fuori tempo, fuori luogo e soprattutto infinitamente triste. Chi ci fa la guerra o ci invade – sono le parole di cui Alberoni discute nell’articolo di cui sto parlando – non è il terzo mondo. Non sta più nella parte sud dell’emisfero ma attraversa deserti, salta confini, tracima in nazioni vicine e lontane, arriva sulle coste di un continente che serve da sponda per arrivare al nostro, e si imbarca.
Io, che sociologo non sono ma di questa società sono parte, chiedo ad Alberoni se legge le testimonianze di quei neri che nulla sanno di teorie, di guerre o di invasioni, e che semplicemente fuggono da qualcosa che deve essere veramente un inferno se preferisci calarti in un buco di 75 cm insieme ad altre centinaia di disperati, donne e bambini compresi, e scendere giù.
Non si chiama terzo o quarto mondo ma inferno. L’inferno, Alberoni, è una cosa tanto brutta che non c’è una graduatoria. Se ci stai dentro vuoi andare via. Punto. Tutto è meglio dell’inferno anche un barcone. E vai giù.
Più sei nero e più vai giù. Gli scafisti collocano i migranti sulle carrette del mare in base alla nazionalità: sul fondo chi proviene dall’Africa sub-sahariana e dal corno d’Africa, più in alto i magrebini e i mediorientali. Nelle priorità di imbarco degli scafisti importano i soldi ma non solo: c’entra anche il razzismo. Chi ha la pelle più scura, finisce più giù. Più vicino al fondo della nave e al fondo del mare.
Se quella di Alberoni è sociologia, io le preferisco De Gregori. Perché io mi fido più diYahya, Mohamed, di Mounes, di Masoud, di Save The Children e dei testimoni sopravvissuti e dei loro racconti. Non c’entra il terzo mondo, c’entra il razzismo.C’entra se sei nero perché sul fondo ci vai se sei nero. Nella stiva vanno solo i neri. Sul ponte se hai soldi e pelle meno scura.
Questa, Alberoni, è una cosa vecchia. Si chiama razzismo e la cantava De Gregori in Titanic, in cui i migranti erano gli italiani e gli europei che andavano in America. “La prima classe costa mille lire/ la seconda cento/ la terza dolore e spavento/ e puzza di sudore dal boccaporto/ e odore di mare morto./ E gira gira gira gira l’elica/ e gira gira che piove e nevica/ per noi ragazzi di terza classe/ che per non morire si va in America.” Trallallero trallalà. Ma senza memoria come si fa?

Di Don Mauro Leonardi

Articolo tratto da L’Huffingtonpost

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