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L’Omelia laica di Don Eugenio Scalfari in “piena” predicazione. Un sacerdote mancato?

BIENNALE DEMOCRAZIA:INCONTRO CON EUGENIO SCALFARIROMA – E’ simpatica – ed anche da seguire e leggere – la vicenda epistolare che coinvolge lo storico fondatore di Repubblica, “El fundador” – lo chiamano i suoi più accaniti seguaci – e Papa Francesco – il Santo Padre lo chiamano i suoi fratelli nella fede – che nelle scorse ore ha risposto ad un paio di editoriali dello scrittore. Oggi leggiamo dalle pagine di Repubblica una delizionsa “Omelia laica” che Scalfari propone come conclusione della proposta del Papa di “camminare insieme per un tratto di strada”. Ed allora, ve la proponiamo così come Scalfari l’ha scritta.

Scalfari e la lettera di papa Francesco:
“Il coraggio che apre alla cultura moderna”

Il fondatore di Repubblica risponde, sul quotidiano in edicola, alla missiva del Pontefice sul rapporto tra fede e ragione: “Parole che fanno riflettere, una visione mai sentita dalla cattedra di San Pietro”. “Sta cercando di far prevalere la Chiesa missionaria su quella istituzionale, ma difficilmente ci sarà un Francesco II”

ROMA – La lettera di papa Francesco da noi pubblicata ieri ha suscitato in me, nel nostro direttore Ezio Mauro e in tutti i colleghi una grande emozione. Penso che la stessa emozione l’abbiano avuta tutti coloro che l’hanno letta.

Non parlo di quello che nel nostro linguaggio gergale chiamiamo “scoop”. Gli scoop alimentano le chiacchiere, non il pensiero e qui, leggendo le parole del Papa, il nostro pensiero è chiamato e stimolato a riflettere di fronte alla concezione del tutto originale che papa Francesco esprime sul tema “fede e ragione”, uno dei cardini dell’architettura spirituale, religiosa e teologica della Chiesa. Ma non soltanto della Chiesa: la cultura moderna dell’Occidente nasce esattamente da quel tema e papa Francesco lo ricorda nella sua lettera quando scrive:

“La fede cristiana, la cui incidenza sulla vita dell’uomo è stata espressa attraverso il simbolo della luce, spesso fu bollata come il buio della superstizione. Così tra la Chiesa da una parte e la cultura moderna dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità. Ma è venuto ormai il tempo  –  e il Vaticano II ne ha aperto la stagione  –  d’un dialogo senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro”.

Queste parole sono al tempo stesso una rottura e un’apertura; rottura con una tradizione del passato, già effettuata dal Vaticano II voluto da papa Giovanni, ma poi trascurata se non addirittura contrastata dai due pontefici che precedono quello attuale; e apertura ad un dialogo senza più steccati.

L’intera lettera di papa Francesco ruota attorno a questa premessa, ma c’è una frase nelle parole del Papa sopra citate che merita a mio avviso una particolare attenzione: “La fede cristiana… è stata espressa attraverso il simbolo della luce”.

Bisogna tornare all'”incipit” del Vangelo di Giovanni per trovare questo simbolo, laddove l’evangelista scrive:

“In principio era il Verbo

e il Verbo era presso Dio

ed era Dio il Verbo.

Le cose tutte furono fatte per mezzo di Lui

e senza di lui nulla fu fatto di quanto esiste.

In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini

e la luce risplende tra le tenebre

ma le tenebre non l’hanno ricevuta”.

BIENNALE DEMOCRAZIA:INCONTRO CON EUGENIO SCALFARI

Qui, in questi tre ultimi versi poetici e profetici come tutto quel quarto Vangelo, nasce la visione cristiana del bene e del male: la vita era la luce degli uomini, ma le tenebre non l’hanno ricevuta. Papa Francesco sviluppa questa visione della contrapposizione tra luce e tenebre, tra bene e male, in modo originalissimo. In un punto della sua lettera scrive: “Per chi non crede in Dio la questione: [del bene e del male] sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare ed obbedire ad essa significa infatti decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene e male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire”.

Un’apertura verso la cultura moderna e laica di questa ampiezza, una visione così profonda tra la coscienza e la sua autonomia, non si era mai sentita finora dalla cattedra di San Pietro. Neppure papa Giovanni era arrivato a tanto e neppure le conclusioni del Vaticano II, che avevano auspicato l’inizio del percorso ai pontefici che sarebbero venuti dopo e ai Sinodi che avrebbero convocato. Papa Francesco quel passo l’ha fatto ed io lo sento profondamente echeggiare nella mia coscienza. Ricordo con grande affetto che visione analoga l’ho ascoltata nei miei colloqui con il cardinale Carlo Maria Martini, che non a caso era amico del cardinale Bergoglio. Ma Martini non era un Papa quando diceva queste cose, Bergoglio ora lo è.

C’è un altro aspetto assai importante  –  questo sì  –  politico , quando il Papa scrive della distinzione tra la sfera religiosa e quella politica (“Date a Cesare”):

“Alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana. Ciò non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all’uomo, a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza”.

La visione dell’autonomia della politica mi sembra che sfugga al Papa, ed è comprensibile che sia così. Uno come lui non può concepire la politica che nel quadro di un servizio ai cittadini. Questa opinione è perfettamente condivisibile ma non può escludere l’egemonia. In un regime di libertà e di democrazia convivono diverse visioni del bene comune, che si confrontano e si scontrano tra loro. Chi ottiene la maggioranza dei consensi e quindi l’egemonia, cerca di realizzare la sua visione del bene comune. Resta o dovrebbe restare un servizio, che passa però attraverso la conquista del potere.

Questo, papa Francesco lo sa, e la Chiesa cattolica infatti l’ha sperimentato facendo del potere temporale uno dei cardini della sua storia. Se vogliamo riandare ad uno dei più importanti esempi, ricordiamo la lotta per le investire culminata nello scontro tra Ildebrando da Soana Gregorio VII e Enrico imperatore di Germania, colpito dalla scomunica e costretto ad inginocchiarsi vestito da mendicante ai piedi del Papa nel castello di Canossa. Raccontano le storie che quando Enrico dovette baciare il piede del Papa in segno di sottomissione, abbia detto: “Non tibi sed Petro” e Gregorio gli abbia risposto: “Et mihi et Petro”.

Poi vennero le Crociate e tutta la storia della Chiesa come istituzione di potere e di guerra. Così durò fino al 1870, ma anche dopo la temporalità cattolica è continuata sotto altre forme che specialmente in Italia, ma non soltanto, ben conosciamo. La pastoralità, la Chiesa predicante e missionaria, c’è sempre stata e Francesco d’Assisi ne ha rappresentato la più fulgida ma non certo la sola manifestazione. Tuttavia non ha quasi mai avuto la prevalenza sulla Chiesa istituzionale.

Papa Francesco ha interrotto e sta cercando di capovolgere questa situazione. La trasformazione in corso nella Curia e nella Segreteria di Stato sono segnali estremamente importanti. Temo però che molto difficilmente ci sarà un Francesco II e del resto non è un caso se quel nome non sia stato fin qui mai usato per il successore di Pietro.

La lettera del Papa è comunque chiarissima, risponde alle domande che mi ero permesso di porre e va anche su certe questioni anche molto più in là. Sicché non la commenterò più oltre, salvo due ultimi aspetti.

Il tema degli ebrei, del loro esser considerati dai cattolici come fratelli maggiori, la fine dell’accusa di “deicidio” che i cristiani hanno sempre lanciato contro di loro, ed infine la comune discendenza dal Dio mosaico del Sinai e dei dieci comandamenti, era già stato sollevato da papa Giovanni e da papa Wojtyla, ma non con la chiarezza definitiva di papa Francesco. E’ un passo molto importante che segna finalmente un capovolgimento nell’atteggiamento durato quasi due millenni.

Infine c’è il racconto che il Papa fa del suo incontro con la fede. Rileggiamo quel brano.

“La fede per me è nata dall’incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato possibile nella comunità di fede in cui ho vissuto e grazie alla quale ho trovato l’accesso all’intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, vera immagine del Signore. Senza la Chiesa  –  mi creda  –  non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono della fede è custodito nei vasi d’argilla della nostra umanità”.

Un racconto splendido, un’autobiografia affascinante. Ci si sente sotto, per quanto posso intuire, più Bernardo, più Agostino, più Benedetto che Tommaso e la Scolastica, che tuttavia è ancora assai presente nella dottrina tradizionale

Chi come me non solo non ha la fede ma neppure la cerca; chi come me sente il fascino della predicazione di Gesù e lo ritiene uomo e figlio dell’uomo, non può che ammirare un successore di Pietro che rivendica la Chiesa come luogo eletto affinché il sentimento di umanità custodito in vasi d’argilla non venga distrutto dai vasi di piombo che fuori e dentro la Chiesa spezzano i vasi d’argilla.

Il Papa mi fa l’onore di voler fare un tratto di percorso insieme. Ne sarei felice. Anch’io vorrei che la luce riuscisse a penetrare e a dissolvere le tenebre anche se so che quelle che chiamiamo tenebre sono soltanto l’origine animale della nostra specie. Più volte ho scritto che noi siamo una scimmia pensante. Guai quando incliniamo troppo verso la bestia da cui proveniamo, ma non saremo mai angeli perché non è nostra la natura angelica, ove mai esista.

Perciò lunga vita e affettuosa fraternità con Francesco, Vescovo di Roma e capo d’una Chiesa che lotta anch’essa tra il bene e il male.

 

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– Lettera cordiale ed umile di Papa Francesco a Repubblica: Scalfari gli aveva chiesto “luce”

 

 

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