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Le periferie di Buenos Aires, l’origine del Giubileo della misericordia

Le periferie di Buenos Aires, l'origine del Giubileo della misericordiaColloquio con Nello Scavo, giornalista di Avvenire autore di «La lista di Bergoglio»

Il Giubileo della misericordia non è un «colpo di teatro» di Francesco. Fin dal suo primo Angelus Jorge Mario Bergoglio ha posto l’accoglienza al centro della sua missione, in perfetta continuità con le sue precedenti esperienze pastorali a Buenos Aires.

Sulle orme del «vescovo dei poveri» divenuto Pontefice, Nello Scavo, giornalista di Avvenire, ha ricostruito in particolare il ruolo del futuro successore di Pietro nella stagione buia della dittatura militare argentina. Per scrivere «I sommersi e i salvati di Bergoglio» (Piemme, 2014) Scavo è partito per Buenos Aires, alla ricerca della verità sulle voci di presunta connivenza di papa Francesco con le dittature sudamericane. Suo è anche «La lista di Bergoglio» (Emi, 2013), tradotto in 16 lingue e pubblicato in oltre 50 Paesi. Il Giubileo della misericordia nasce dalla «Chiesa in uscita» che Jorge Mario Bergoglio, nel suo intensissimo ministero episcopale, aveva elaborato in una diocesi «quasi alla fine del mondo».

C’è molto dell’Arcivescovo di frontiera nella proclamazione di un Anno santo che mette al centro le periferie geografiche ed esistenziali. Insomma padre Jorge Mario Bergoglio è papa Francesco. «Vi è una coerente continuità tra l’epoca argentina e la nuova era romana – spiega Scavo a Vatican Insider – Fin dalla prima intervista realizzata per poter sapere qualcosa in più a proposito di un pontefice di cui si sapeva davvero poco, ricorreva quasi come un mantra la definizione di “padre tra i poveri, vescovo per i poveri”. Diversi testimoni hanno raccontato di avergli sentito intimare alla politica di “combattere contro la povertà, non contro i poveri”. Un’affermazione di principio che indica plasticamente le scelte di Francesco: attenzione e cura delle singole persone senza per questo sottrarsi al coraggio delle parole scomode”».

Quindi la misericordia è per Bergoglio qualcosa di più di un’attitudine di frontiera. Semmai è l’essenza percettibile del suo modo di proclamare il Vangelo. «Avere misericordia degli ultimi, degli emarginati, delle vittime del disagio, non gli ha mai impedito di affrontare le cause e le responsabilità – sottolinea il giornalista d’inchiesta e scrittore – La condanna per la corruzione non è che l’altra faccia di quella misericordia, che è cosa diversa da un malinteso buonismo. Da gesuita e vescovo il futuro Pontefice ha sempre dovuto scegliere da che parte stare. E questo gli ha fatto guadagnare l’affetto e la riconoscenza degli ultimi e l’ostilità dei palazzi del potere».

Nel laboratorio-Cracovia, come emerge dai programmi pastorali e dalle iniziative diocesane, è stato «concepito» il pontificato di Karol Wojtyla, il papa che come gli aveva profetizzato il primate di Polonia Stefan Wyszyński ha portato la Chiesa nel terzo millennio. Lo stesso può dirsi per Bergoglio che a Buones Aires era impegnato nell’accompagnamento pastorale delle situazioni familiari irregolari e avvicinava la fede ai lontani senza escludere nessuno. Deriva da lì la misericordia come programma giubilare. «In una megalopoli come Buenos Aires la periferia non è rinchiusa dentro a un perimetro isolato e distante – precisa Scavo – E gli amici senzatetto che grazie all’allora cardinale Bergoglio hanno preso casa sotto i portici della cattedrale, nella centralissima Plaza De Mayo, a un passo dal palazzo presidenziale, ne sono la riprova».

Ma le periferie sono anche quelle ecclesiali. Non solo i cosiddetti «lontani» dalla fede, ma anche gli «allontanati». Si sprecano i racconti sul futuro Papa che da presule non di rado rimproverava qualche parroco non appena apprendeva che questi negava l’amministrazione dei sacramenti, come quello del battesimo, ai figli di coppie «irregolari». Anche questo la dice lunga sull’idea di Chiesa della misericordia che papa Francesco vorrebbe si riscoprisse in questo inatteso Anno giubilare. «Una Chiesa che va incontro al mondo, ma non cade nella trappola del proselitismo perché la testimonianza cristiana lascia sempre il segno, come un seme che presto o tardi darà frutto», afferma l’inviato di Avvenire.

A incidere è anche la Compagnia di Gesù. È ampiamente documentato, infatti, quanto il Papa fosse legato a padre Pedro Arrupe, grande missionario e poi preposito generale dei Gesuiti. C’è un episodio a questo proposito che può aiutare a capire le dinamiche pastorali di Francesco. «Padre Pedro fu testimone oculare della devastazione compiuta a Hiroshima dalla bomba atomica – racconta Scavo – Nel maggio del 1955, un promettente reporter colombiano incontrò il futuro Preposito generale. Ne scrisse un magnifico reportage per El Espectador. Da quel colloquio il giornalista 28enne Gabriel García Márquez ne uscì con alcune domande a cui per rispondere occorre qualcosa di più del miglior “realismo magico”. Arrupe e la piccola comunità di gesuiti sopravvissero all’onda d’urto, per di più senza venire contaminati». Non solo, il Missionario spagnolo era uno dei pochissimi a masticare di medicina. E nella totale mancanza di medicamenti «un contadino – riportò García Márquez – mise a disposizione del Sacerdote un sacco contenete 20 chili di acido borico». Con quell’impiastro, che diluito con acqua può lenire le ustioni, vennero soccorse decine di persone, sebbene nessuno prima di allora avesse avuto a che fare con i postumi di una strage nucleare. «Oggi si trovano tutti in buone condizioni di salute», disse padre Arrupe al futuro premio Nobel per la letteratura. Né García Márquez né il Gesuita vollero parlare di miracolo, ma neanche a distanza di anni entrambi riuscivano a spiegarsi «cosa ci facesse – si domandava Gabo – un contadino di Hiroshima con 20 chilogrammi di acido borico in casa».

Presenza e testimonianza sono come il seme. «Il resto lo farà quel “mistero” con cui papa Francesco sta seducendo i vicini e i lontani. Seppure questo approccio, egli lo sa, non gli risparmia critiche e inimicizie, fuori e dentro la Chiesa», osserva il cronista. E c’è tanto del Bergoglio prete e vescovo di strada nella figura dei missionari della misericordia, gli inviati speciali mandati dal Papa in tutte le diocesi in occasione dell’Anno santo straordinario e che avranno anche il mandato speciale di assolvere dal peccato grave dell’aborto. «C’è molto dei Cura Villeros, preti di trincea, più che di periferia. Arrivano dove neanche la polizia si sogna di mettere piede, ma loro ci sono, non indietreggiano – sostiene Scavo – Dialogano con tutti, ma non fanno sconti. Rischiano la vita e non di rado il Bergoglio arcivescovo levò la voce per proteggerli dalle minacce della criminalità e dall’indifferenza delle autorità. Sono missionari moderni e antichi. Incedono con il passo di Paolo tra i pagani, ascoltano con l’intelligenza di Matteo Ricci, abbracciano con l’affetto del Cura Brochero, il parroco argentino che non si curò della lebbra, del colera né delle intemperie per raggiungere, dopo giorni di cammino a dorso di mula, i suoi parrocchiani sparsi nelle remote Sierras». Ma il Papa ha un’idea di missionarietà che non esclude il «pueblo», anzi, è grazie al popolo di Dio che la fede si preserva e si tramanda. Lo ha ricordato lui stesso citando un episodio personale che ci riporta ad Arrupe.

Di Giacomo Galeazzi per Vatican Insider (Famiglia Cristiana)

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