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La preghiera di Francesco alle Fosse Ardeatine

Il sottufficiale tedesco si precipita dai Salesiani, custodi delle Catacombe di San Callisto, ed entra senza bussare. I suoi stivali sono incrostati di pozzolana, la divisa è insanguinata del peggior crimine di guerra che la città di Roma ricordi. Gli serve un telefono, deve chiamare il comando cittadino del Sicherheitsdienst, il servizio segreto delle SS. «Abbiamo compiuto il lavoro. Possiamo rientrare?».

Poche parole, uno scambio breve. Permesso accordato. Il salesiano ungherese che in quel momento si trova nella stanza del telefono guarda il teschio scintillante sul cappello del soldato. Fa finta di niente ma ha capito quelle parole. Ancora non può sapere che a pochi metri di distanza, il giorno precedente (il 24 marzo 1944) sono stati trucidati 335 civili e militari italiani. Quella dei tedeschi fu una rappresaglia veloce ma pianificata, per vendicare l’attentato partigiano di via Rasella, in cui erano rimasti uccisi 33 soldati del reggimento Bozen. Le cave della via Ardeatina erano perfette per occultare i cadaveri degli uccisi.

A distanza di 73 anni, dopo Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Papa Francesco sosterà in preghiera all’interno del sacrario. Sarà la seconda tappa (l’arrivo alle Fosse Ardeatine è previsto per le 17) di un piccolo viaggio della memoria che il prossimo 2 novembre lo porterà a far visita anche al cimitero americano di Nettuno, dove celebrerà la Messa per tutti i caduti delle guerre. L’ultimo Pontefice a rendere omaggio ai martiri delle Fosse fu Benedetto XVI il 27 marzo 2011. In quella occasione fu accolto dal cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo. Suo padre, il colonnello Giuseppe, fu tra le vittime della strage. Andrea, allora diciannovenne, fu tra i primi a scavare nelle cave, contribuendo a ritrovare i cadaveri e partecipando in prima persona alle operazioni di riconoscimento.

La notizia delle esecuzioni si diffuse velocemente. L’agenzia Stefani informò i quotidiani già alla mezzanotte del 24. Le rotative furono fermate per poi ripartire con gli ultimi aggiornamenti. «Nessuno però, in quelle ore, era in grado di stabilire dove fosse accaduto il massacro», puntualizza don Francesco Motto, già direttore dell’Istituto storico salesiano ed attuale presidente dell’Associazione cultori di storia salesiana. È merito delle sue ricerche se conosciamo come andarono le cose nel pomeriggio del 25 marzo. «Gli spari e la detonazione di mine iniziati venerdì 24 si conclusero il giorno dopo verso le 14.30. L’esecuzione vera e propria durò dalle 15.30 alle 20. A questa seguirono due potenti esplosioni, udite dai salesiani delle vicine catacombe di San Callisto». La guida ungherese, il sacerdote che carpì la chiamata del sottufficiale tedesco, «raccontò l’accaduto ai confratelli e tre di loro (un prete, un chierico e un laico, ndr) fecero un’ispezione nelle cave. Seguendo un filo rosso lasciato dai tedeschi arrivarono a un cumulo di terra, salito il quale con l’aiuto di una candela videro i cadaveri». Tornati all’Istituto San Tarcisio parlarono con il direttore che chiese a un salesiano con conoscenze in Vaticano di avvisare probabilmente la Segreteria di Stato.






«Nonostante severe disposizioni – un cartello posto dai tedeschi minacciava di morte chi si avvicinasse – il luogo dell’eccidio, ormai pienamente individuato, divenne meta di continui pellegrinaggi». Il 1° aprile,i tedeschi con alcuni operai italiani fecero brillare varie mine che sfondarono la volta delle gallerie impedendo definitivamente l’accesso. «A pochi metri – conclude don Motto – i martiri delle catacombe e quelli delle fosse riposano gli uni accanto agli altri. Persone innocenti, senza distinzione di religione o condizione sociale. Ci ricordano la responsabilità di ogni uomo nella salvaguardia della vita e della memoria».




Fonte www.romasette.it

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