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La devozione alla Madonna di Giovanni Paolo II (1)

La grande devozione mariana di Giovanni Paolo II ha radici profonde nella sua infanzia, nell’esempio dei genitori. E si è poi sviluppata ed è maturata con l’aiuto di laico, che di professione faceva il sarto, definito da Wojtyla “un vero santo”. Le persone che hanno conosciuto bene Giovanni Paolo II sono concordi nell’affermare che la sua devozione alla Madonna è grandissima. Anzi, è un qualche cosa di più di una  devozione. Per una serie particolari di circostanze che sono avvenute nel corso dell’esistenza, ha sviluppato con la Vergine un legame che è diventato parte essenziale della sua stessa personalità. Cominciò ad amare la Madonna da bambino, guidato dalla propria madre, Elena, che, come tutta le donne polacche, sentiva in modo fortissimo questa devozione. Lo stesso Giovanni Paolo II nel suo libro “Varcare la soglia della speranza” dice di essere molto legato ai santuari mariani fin della sua infanzia. Allora veniva portato in quei luoghi benedetti dalla madre. Ricorda la Madonna del Perpetuo Soccorso a Wadowice, il santuario di Kalwaria, quello di Jasna Gora con la statua della Madonna nera. Nell’aprile del 1929, quando aveva nove anni, rimase orfano della madre. Fu cresciuto dal padre, Karol senior, che continuò a trasmettergli, soprattutto con l’esempio, i valori religiosi. Erano soli al mondo. Il Papa ha ricordato di aver visto, più volte, svegliandosi nel cuore della notte, suo padre inginocchiato ai piedi del letto assorto nella recita del rosario, e di non aver mai dimenticato quell’immagine di commovente devozione mariana. Ha imparato quindi dal padre a recitare il rosario ogni giorno e in uno dei suoi libri ha scritto: “II rosario è la mia preghiera preferita. Preghiera meravigliosa! Meravigliosa nella sua semplicità e nella sua profondità”.

Dopo la morte della madre, la devozione alla Madonna divenne nel suo cuore  più intensa. Secondo alcuni studiosi, Wojtyla avrebbe trasferito alla Madre celeste quell’affetto e quella tenerezza che non poteva più avere per la sua madre terrena. A Wadowice, quando era studente liceale, si era iscritto al  “Sodalizio di Maria”, un’associazione maschile di giovani che si proponevano di diffondere la devozione alla Madonna. E durante il liceo, era stato eletto per due anni consecutivi presidente di quell’Associazione. In occasione del suo ottantesimo compleanno, Giovanni Paolo II ha scritto un libro autobiografico dal titolo “Dono e Mistero”. In quelle pagine indica la devozione alla Madonna quale fonte della propria vocazione sacerdotale e di tutto quello che poi ne è seguito. “Parlando delle origini della mia vocazione sacerdotale”, ha scritto Wojtyla in quel libretto “non posso dimenticare il “filo mariano. La venerazione alla Madre di Dio nella sua forma tradizionale  mi viene dalla famiglia e dalla parrocchia di Wadowice. Ricordo, nella chiesa parrocchiale, una cappella laterale dedicata alla Madre del Perpetuo Soccorso, dove di mattina, prima dell’inizio delle lezioni, si recavano gli studenti del ginnasio. Anche a lezioni concluse, nelle ore pomeridiane, vi andavano molti studenti per pregare la Vergine”. Inoltre, a Wadowice, c’era, sulla collina, un monastero carmelitano, la cui fondazione risaliva ai tempi di San Raffaele Kalinowski. Gli abitanti diWadowice lo frequentavano in gran numero, e ciò non mancava di riflettersi in una diffusa devozione per lo scapolare della Madonna del Carmine. Anch’io lo ricevetti, credo all’età di dieci anni, e lo porto tuttora. Si andava dai Carmelitani anche per confessarsi. “Fu così che, tanto nella chiesa parrocchiale quanto in quella del Carmelo, si formò la mia devozione mariana durante gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza fino al conseguimento della maturità classica”.

Nel 1938 Karol Wojtyla, sempre assieme al suo papà,  lasciò Wadowice e si trasferì a Cracovia per seguire i corsi universitari. A Cracovia  in poco tempo divenne il giovane intellettuale più ammirato. Cominciò a frequentare i circoli letterari e teatrali, i salotti artistici, dove si tenevano concerti. Wojtyla, che già a Wadowice si era affermato come attore e come poeta, rivelò a Cracovia ancor più il suo talento. Divenne in quel periodo un attore ammirato, nei salotti recitava le sue composizioni poetiche, che erano ammirate e osannate. Tutti pensavano che sarebbe diventato un prestigioso esponente della letteratura polacca contemporanea. Il cambiamento di luogo, la vita universitaria, il contatto con il mondo giovanile della grande città, i trionfi letterari avrebbero in un certo modo potuto raffreddare quella istintiva devozione mariana che il giovane Wojtyla aveva assimilato in famiglia.  Nel 1939, poi, arrivò anche la guerra. La Polonia venne invasa dai nazisti che imposero un regime di terribile oppressione. Seguirono anni di stenti, fame, sofferenze, mancanza di libertà, persecuzioni, uccisioni, condizioni di vita disumane. Wojtyla dovette interrompere gli studi, perché i nazisti avevano chiuso l’università e dovette andare a fare l’operaio per mantenere se stesso e suo padre. Anche tutto questo poteva contribuire a cambiare la sua visione dell’esistenza e del mondo. E soprattutto poteva fargli mutare le convinzioni religiose.  Ma non accadde. Anzi, a Cracovia, proprio in quegli anni di sofferenze, Karol Wojtyla approfondì e maturò le proprie convinzioni religiose e soprattutto la propria devozione alla Madonna. Quel giovane, così compito e dal fisico prestante, che pregava con tanta concentrazione, fu notato non solo dai sacerdoti, ma anche da un personaggio laico, Jan Tyranowski. Era un tipo  magro, goffo, curvo, con capelli grigiastri pettinati all’indietro. La sua voce aveva toni acuti, quasi come quella di una ragazza. Qualcuno lo considerava un po’ matto. Gli stessi sacerdoti della parrocchia non avevano una grande considerazione per lui. Invece, Jan Tyranowski  era uno spirito illuminato e il giovane Wojtyla lo intuì subito.

Tyranowski, scrisse in seguito Giovanni Paolo II “era una persona che si distingueva da tutte le altre. Di professione era impiegato, anche se aveva scelto di lavorare nella sartoria di suo padre. Affermava che il lavoro di sarto gli rendeva più facile la vita interiore. Era un uomo di una spiritualità particolarmente profonda”. Dopo l’invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, la chiesa polacca viveva in grandissime difficoltà. I nazisti avevano arrestato moltissimi sacerdoti. Anche gli otto salesiani che lavorano nella parrocchia di San Stanislao erano finiti in campo di concentramento, tranne uno. Questi, per cercare di tenere viva la fede nella parrocchia, soprattutto tra i giovani, chiese aiuto ai laici e si rivolse anche Jan Tyranowski.Il sarto si dedicava già  a una sua piccola iniziativa spirituale tra i giovani, che aveva  chiamato  “Rosario vivente”. Anzi, in varie occasioni aveva anche parlato con i religiosi della  parrocchia di questo suo lavoro, ma senza essere preso in considerazione. Ora però quella sua attività diventava preziosissima e fu pregato di coltivarla con grande diligenza.  Il “Rosario Vivente” era una iniziativa mariana rivolta ai giovani perché potessero dare  concretezza alla propria fede. Gli iscritti si impegnavano soprattutto a mettere in pratica, nella vita di tutti i giorni, gli insegnamenti che venivano dalla preghiera, dalla lettura del Vangelo e di altri libri a carattere spirituale. Durante l’invasione tedesca, il movimento divenne clandestino. Come tutte le associazioni cattoliche, anche il “Rosario Vivente” fu proibito dai tedeschi. Essi consideravano i gruppi giovanili fertile terreno di complotti. Una volta la Gestapo fece irruzione nell’appartamento di Tyranowski durante una riunione. Nessuno sa che cosa il sarto disse per scongiurare l’arresto di tutti i presenti. Ci fu una lunga discussione, al termine della quale i poliziotti della Gestapo se ne andarono. Gli iscritti al “Rosario vivente” erano divisi in gruppi di quindici individui. Ogni gruppo era guidato da un capo, che rispondeva direttamente al fondatore, Jan Tyranowski. Negli anni dell’invasione, il movimento contava circa una sessantina di aderenti, il più giovane dei quali aveva 14 anni, ed erano guidati da quattro capi: uno di essi era Karol Wojtyla. Jan Tyranowski incontrava il gruppo al completo una volta al mese,  ma era sempre disponibile a ricevere chiunque avesse avuto bisogno di parlare con lui. Per quei giovani egli era un vero padre spirituale, una guida di grandissimo valore che amavano e seguivano con ardore. I suoi insegnamenti erano elementari. Diceva che bisognava avere idee chiare e concrete sulle verità della fede, e su come si deve agire per metterle in pratica con determinazione. Suggeriva ai suoi giovani di fare l’esame di coscienza tutti i giorni e a tenere, su un quaderno, un controllo scritto quotidiano per verificare le proprie azioni e la fedeltà ai propositi fatti. Fu Tyranowski, a favorire, nel giovane Wojtyla, la conoscenza del misticismo spagnolo e in particolare, appunto, delle opere di  san Giovanni della Croce e di Santa Teresa d’Avila. Opere che ebbero, poi, sulla sua formazione spirituale e sul suo pensiero teologico una grande influenza. Ma Tyranowski contribuì molto anche  alla “maturazione” della devozione mariana di Karol Wojtyla.  Fu lui a suggerire a Karol, in quegli anni di guerra, la lettura delle opere del grande mariologo francese San Luigi Maria Grignion de Monfort, in particolare il famoso “Trattato”, opera che è ancora fondamentale nella storia della mariologia. Quelle letture aiutarono Wojtyla a passare da una devozione mariana istintiva, a quella  teologica, che lo accompagnerà per tutta la vita.

A Cracovia, scrisse il Papa “nel periodo in cui andava configurandosi la mia vocazione sacerdotale, anche grazie all’influsso di Jan Tyranowski, il mio modo di comprendere il culto della Madre di Dio subì un certo cambiamento. Ero già convinto che Maria ci conduce a Cristo, ma in quel periodo cominciai a capire che anche Cristo ci conduce a sua Madre. Ci fu un momento in cui misi in qualche modo in discussione il mio culto per Maria ritenendo che esso, dilatandosi eccessivamente, finisse per compromettere la supremazia del culto dovuto a Cristo. Mi venne allora in aiuto il libro di San Luigi Maria Grignion de Montfort che porta il titolo di  “Trattato della vera devozione alla Santa Vergine”. In esso trovai la risposta alle mie perples­sità. Sì, Maria ci avvicina a Cristo, ci conduce a Lui, a condizione che si viva il suo mistero in Cristo. Il trattato di San Luigi Maria Grignion de Montfort può disturbare con il suo stile un po’ enfatico e barocco, ma l’essenza delle verità teologiche in esso contenute è incontestabile. L’autore è un teologo di classe. Il suo pensiero mariologico è radicato nel Mistero trinitario e nella verità dell’Incar­nazione del Verbo di Dio. Compresi allora perché la Chiesa reciti l’Angelus tre volte al giorno. Capii quanto cruciali siano le parole di questa preghiera: “L’Angelo del Signore portò l’annuncio a Maria. Ed ella concepì per opera dello Spirito Santo… Eccomi, sono la serva del Signore. Avvenga di me secondo la tua parola… E il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi…”. Parole davvero decisive! Esprimono il nucleo dell’evento più grande che abbia avuto luogo nella storia dell’umanità. Così, grazie a San Luigi, cominciai a scoprire tutti i tesori della devozione mariana da posizioni in un certo senso nuove: per esempio, da bambino ascoltavo “Le ore sull’Immacolata Concezione della Santissima Vergine Maria”, cantate nella chiesa par­rocchiale, ma soltanto dopo mi resi conto delle ric­chezze teologiche e bibliche in esse contenute. La stessa cosa avvenne per i canti popolari, ad esempio per i canti natalizi polacchi e le “Lamentazioni” sulla Passione di Gesù Cristo in Quaresima, tra le quali un posto particolare occupa il dialogo dell’anima con la Madre Dolorosa. Fu sulla base di queste esperienze spirituali che venne delineandosi l’itinerario di preghiera e di contemplazione che avrebbe orientato i miei passi sulla strada verso il sacerdozio, e poi in tutte le vicende successive fino ad oggi”. Al termine della guerra, quando Karol Wojtyla entrò in seminario, Jan Tyranowski si ammalò. Il suo compito era finito.  Tra il 1945 e il 1946 rimase a letto quasi un anno. Probabilmente aveva un cancro diffuso. Gli venne anche amputato un braccio. Sopportò ogni sofferenza senza lamentarsi mai. Consolava coloro che andavano a trovarlo. Morì nel marzo 1947. Morì sorridendo agli amici e stringendo un crocefisso sul petto. Wojtyla non potè partecipare ai funerali. Era a Roma dove studiava i mistici spagnoli, alla cui conoscenza era stato introdotto proprio da Jan Tyranowski.  E, in una commemorazione scritta, affermò: “Tyranowski era uno di quei santi sconosciuti, celati come una luce meravigliosa in fondo alla vita, a una profondità dove generalmente regna la notte”. Il sarto Jan Tyranowski fu, quindi, il vero maestro di Karol Wojtyla nella devozione alla Madonna. Lo aiutò a scoprire  i veri fondamenti teologici su cui poggia questa devozione, costruendo in lui delle convinzioni solide che non avrebbe mai più dimenticato.

La devozione mariana fu una delle componenti  principali dell’attività sacerdotale di Wojtyla. Quando venne nominato vescovo, dovette scegliere, com’è consuetudine, un “motto” uno slogan da inserire nel proprio stemma vescovile. E anche in quella scelta Wojtyla  palesò quando grande fosse stata l’influenza di Jan Tyranowski nella sua formazione spirituale.  Lo stemma da lui scelto era costituito da una croce, una «M» (a significare Maria), e dalla scritta «Totus tuus», (tutto tuo), frase che racchiude proprio l’essenza delle devozione alla Madonna. La frase “Tutus tuus”  ha scritto Wojtyla nel suo libretto autobiografico “deriva da San Luigi Maria Grignion de Montfort. È l’abbreviazione della forma più completa dell’affidamento alla Madre di Dio, che suona così: Totus Tuus ego sum et omnia mea Tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cor Tuum, Maria”. E da allora, quella frase,fu la sua “parola magica”, la sua guida, il suo slogan, presente nei discorsi, nelle lettere, nelle esortazioni. Appena eletto Papa, la fece scrivere anche sui muri del Vaticano, accanto allo stemma del suo Pontificato. a cura di Emanuela Graziosi 

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