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Il mito del Califfato islamico: Abu Bakr al-Baghdadi al-Husseini al-Qurashi si rivela al mondo.

12Abu Bakr al Baghdadi si è autoproclamato capo dello Stato Islamico (Is – Islamic State), presentandosi come “Califfo” e ordinando a tutti i musulmani di ubbidirgli. E’ apparso in una moschea di Mosul, nel Nord dell’Iraq, durante la sua predica nella preghiera comunitaria islamica, vestito con una tunica nera e un turbante in testa, simbolo dei discendenti del profeta Maometto.

Come tutti i terroristi musulmani, il nuovo Califfo porta un nome di guerra. Si chiama in realtà Ibrahim Awad Ibrahim Ali al-Badri al-Samarrai, nato a Samarra nel 1971. Il suo nome di guerra completo è: Abu Bakr al-Baghdadi al-Husseini al-Qurashi. Abu Bakr è il nome del primo Califfo, cioè il primo successore di Maometto. Al-Baghdadi evoca il periodo più famoso del califfato islamico, quello abbasside, che aveva per capitale Baghdad (750-1258). Al-Husseini si riferisce a Hussein, figlio di Ali e Fatima, la figlia di Maometto, le figure più venerate dall’Islam sciita. Infine, al-Qurashi, si riferisce alla tribù di Maometto, originaria di Quraysh. Secondo un hadith il califfo legittimo deve essere discendente di Maometto. Questi ultimi due nomi, (due nisbah), significano che egli è il califfo legittimo per eccellenza, che soddisfa sia i sunniti che gli sciiti.

Baghdadi sostituisce “Isis”, in cui sono presenti i termini “Iraq e Siria”, con “Is” Stato Islamico, rivendicando un progetto mondiale. Nello stesso tempo, rivela la dimensione ideologica del progetto: la restaurazione del califfato di Baghdad, considerato il periodo più brillante della storia dell’Islam.

Il leader del nuovo Stato Islamico, apparso su youtube, ha dichiarato: “Se seguirò la giustizia e la verità aiutatemi. Se seguirò la falsità consigliatemi”. Poi dall’alto del suo pulpito in pietra, ha aggiunto: “Dopo anni di jihad e perseveranza è stato annunciato il Califfato ed è stato scelto un nuovo Imam”.  Inoltre, ha convocato gli islamici di tutto il mondo per alimentare la guerra: “coloro che possono immigrare dovrebbero farlo perché l’immigrazione nella casa dell’Islam è un dovere. Affrettatevi o musulmani a venire nel vostro Stato. La Siria non è dei siriani e l’Iraq non è degli iracheni. Questa terra è per i musulmani, tutti i musulmani. Questo è il mio consiglio per voi. Se lo seguirete, conquisteremo Roma e diventerete padroni del mondo, con la volontà di Allah”.

Quello che emerge da queste dichiarazioni, (a prescindere che, chi le ha proferite sia il vero Baghadadi), è come la pressione dell’integralismo islamico sia sempre più asfissiante e insostenibile. Molti ragazzi musulmani europei stanno rispondendo alla chiamata, mostrando come, anche sul suolo europeo, siano radicate profonde forme d’integralismo religioso e una marcata identità sovranazionale islamica. Un lealismo al Califfato e alla umma (comunità islamica) talmente profondo da condurre questi giovani al martirio, per la nascita dello Stato Islamico. Il concetto Stato-nazione, di derivazione eurocentrica, si è consolidato nella storia recente tra gli abitanti dei Paesi MENA (Middle East North Africa), in particolare a seguito del fallimento della Lega Araba e del Nasserismo nella creazione di un nazionalismo arabo. Nonostante questo, ancora oggi resta forte e vigoroso nell’immaginario dei musulmani, il senso di appartenenza a una comunità comune (umma), l’influenza del concetto di Califfato e la forte identità sovranazionale islamica.

Le dichiarazioni di Abu Bakr al Baghdadi derivano dall’insegnamento musulmano, secondo cui il jihad è uno dei comandamenti fondamentali della fede, un obbligo imposto da Dio a tutti i musulmani mediante la rivelazione. Tale obbligo si fonda sull’universalità della rivelazione musulmana: parola e messaggio di Dio si rivolgono a tutto il genere umano, ed è compito di coloro che l’hanno accettato quello di lottare incessantemente, per convertire o soggiogare coloro che non l’hanno fatto. E’ un obbligo che non conosce limiti di tempo o di spazio, e che deve protrarsi finché il mondo intero non abbia accolto la fede islamica o non si sia sottomesso al potere dello Stato islamico.

Secondo la tradizione musulmana, affinché questo avvenga, il mondo è diviso in due: la Casa dell’Islam (Dar al-Islam), in cui vigono le leggi musulmane e il potere dei governi musulmani, e la Casa della Guerra (Dar al-Harb), il resto del mondo, ancora abitato e governato dagli infedeli. Tra le due vige uno stato di guerra moralmente necessario e legalmente obbligatorio, fino al trionfo finale e inevitabile dell’Islam sulla miscredenza.

Secondo i testi giuridici, tale stato di guerra può essere sospeso da un armistizio o da una tregua di durata limitata; non può terminare con una pace, ma solo con una vittoria finale. In certi periodi, infatti, i giuristi hanno ammesso una condizione intermedia: la Casa della Tregua (Dar al-Sulh) o Casa del Patto (Dar al-Ahd), fra la Casa della Guerra e dell’Islam. In questa posizione si trovavano i paesi non musulmani, perlopiù cristiani, i cui governi avevano stretto accordi con lo Stato islamico. In conformità a quanto previsto dal “patto” pagavano una specie di tassa o tributo, che si considerava equivalente alla jizya, o tassa pro capite, al fine di ottenere margini di autonomia negli affari interni, ma sotto sovranità musulmana.

Uno dei primi esempi di Dar al-Ahd, fu l’accordo concluso dai califfi Omayyadi nel VII secolo con i principi cristiani d’Armenia. Un altro esempio fu il patto stretto nel 652 d.C. con i governanti cristiani della Nubi, in base al quale, essi dovevano pagare un tributo annuale consistente in un determinato numero di schiavi. Durante l’espansione ottomana nel Sud-Est europeo, lo status di Dar al-Ahd costituì spesso una tappa intermedia prima dell’incorporazione di quelle regioni nell’impero ottomano; e rappresentò talvolta, al momento della ritirata, un passo sulla via dell’indipendenza delle medesime.

Dal proclama di Baghadadi emergono le tre tipiche affermazioni presenti in tutti i discorsi dei fondamentalisti islamici: anzitutto, “noi vogliamo restaurare la grandezza dell’Islam”; in secondo luogo, “l’occidente ha ridotto il mondo islamico a nulla, uccidendo persone, creando vedove,… “; terzo, “riprendiamoci la nostra leadership con la forza”.

Le aggressioni coloniali e post-coloniali che i paesi arabi hanno subito hanno introdotto una profonda divisione entro la maggior parte delle istituzioni intellettuali, educative, politiche e economiche del mondo arabo-islamico. L’assoluta superiorità degli invasori, in materia di scienza, tecnica, organizzazione politica e normazione giuridica, ha costretto i musulmani a imparare dai loro nemici e a seguirne le regole. Ciò li ha posti in una situazione paradossale: resistere con tutti i mezzi alle potenze coloniali e nello stesso tempo imitarle per tentare di dare efficacia alla resistenza e sconfiggerle.

Questo ha aperto una frattura nei valori di riferimento della società islamica: da una parte un’ostinata, viscerale fedeltà alla millenaria tradizione coranica, inclusa la Sharia e, dall’altra, la necessità di imitare gli infedeli, allontanandosi da quella tradizione. La frattura ha generato una sorta di schizofrenia che non riguarda soltanto i rapporti sociali all’interno del mondo arabo-islamico, ma spesso colpisce anche le coscienze individuali, tese fra due possibili modelli di esperienza fra loro in larga misura incompatibili. E’ quella che Samir Kassir, prima di essere assassinato, aveva chiamato «la sindrome del malheur arabe», l’infelicità degli arabi.

Fatema Mernissi ha parlato di paura della modernità e di paura dell’individualismo e della libertà di pensiero da parte della cultura islamica, e ha imputato questa paura sia alla tradizione califfale, sia ai traumi che il mondo islamico ha subito nel corso dell’esperienza coloniale e neocoloniale degli ultimi due secoli.

Un passato rivisto e ricostruito non potrà mai essere la stessa cosa che il passato quale effettivamente fu. La volontà di ritornare alle origini mostra un atteggiamento di chiusura, una reazione passionale istintiva di rifiuto del presente.

In base agli studi di Samir Khalil Samir, “il mondo arabo si trova in una situazione simile a quella dell’adolescente, che protegge e costruisce la sua personalità opponendosi agli altri o divenendo aggressivo. Nell’adolescente, questo atteggiamento è dovuto alla sua stessa fragilità, e allo stato di crisi di crescita nel quale si trova. Nell’Islam contemporaneo si possono scorgere le stesse cause. Ma se questa reazione si comprende facilmente, essa non può tuttavia giustificarsi, nè legitimarsi. […] Tutt’al più, potrebbe essere una tappa, come quella dell’adolescenza, destinata a venir superata non appena possibile. Nel frattempo, questa tappa fa male all’Islam. Essa non risolve alcun problema, al contrario. La riaffermazione in blocco del passato non costituisce per niente una risposta alla sfida della modernità lanciata dall’Occidente. E’ un rigetto del problema più che una risposta. Presto o tardi l’Islam dovrà affrontare il problema e non potrà più ignorarlo”.

(a cura di Severis)

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