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Il limite in cattedra

La cultura della condanna e della lamentela non giova a nessuno se non a coloro i quali pretendono di gestire un potere fingendosi idonei. Nell’ambito complesso di una società manca spesso la mentalità propositiva e creativa che invece di fare elenchi di cose che non funzionano propone soluzioni nuove e percorsi alternativi. È più facile e sbrigativo lamentarsi e giudicare che impegnarsi per migliorare: occorre cercare e trovare la brace sotto la cenere.

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Alla radice spesso c’è un’ideologica e deviata concezione della storia che la vede in un eterno combattimento tra il bene e il male, tra il perfetto e l’imperfetto, tra il finito e l’infinito, tra il naturale e il soprannaturale. Più proficuo invece sarebbe avviare processi di inclusione, incontro e mediazione. Ogni fondamentalismo, cioè ogni progetto teso a dover per forza impiantare il mondo ideale nel più complesso e grande mondo reale, cerca di riempire un vuoto.

Il vuoto del nostro tempo è quello di non avere più limiti. Abbiamo smarrito il valore della realtà, della precarietà, della fragilità alla ricerca dell’ideale. In una interessante intervista su la Repubblica del 2 gennaio scorso, il premio Nobel 2011 per la fisica Saul Perlmutter afferma: “Viviamo in un periodo in cui abbiamo grosse difficoltà a comunicare fra noi per risolvere problemi politici, sociali e tecnici in maniera costruttiva. Nel mondo intero c’è ormai un atteggiamento diffuso ad affrontare questi problemi con rabbia e arroganza, e a pensare di essere in possesso delle risposte prima ancora del confronto. Abbiamo imparato che non solo è molto facile, ma è molto probabile, che in una discussione si parta con idee sbagliate. Abbiamo cioè imparato che ci sono molti modi in cui possiamo sbagliare, e molti modi in cui possiamo migliorare.” Ma lo studioso azzarda un paragone dichiarando: “Gli scienziati non sono dei preti che praticano rituali esoterici, ma dei ricercatori che hanno scoperto un modo per allargare la conoscenza in maniera affidabile”.

Ogni cultura ma particolarmente ogni religione per non scadere nel fondamentalismo deve riconoscersi continuamente “ricercatore che scopre un modo per allargare la conoscenza in maniera affidabile”. Una spiritualità che smette di interrogare, inquietare e scomodare si riduce ad un pacchetto di verità di fede senza carne né vita. Le religioni sono i sentieri di chi si incammina alla ricerca di Dio per dilatare gli spazi della ragione e del cuore. In tal senso l’errore e i limiti non sono ostacoli o imprevisti ma dinamiche interne ad ogni esperienza umana e pertanto significative. Nell’esperienza del limite l’uomo conosce veramente se stesso e così è in grado di mettersi in una reale e concreta relazione con gli altri. La precarietà e l’umanità ci legano gli uni agli altri. Ma soprattutto ci dischiudono all’Altro, il quale ha scelto di farsi Lui stesso limitato, cioè umano, per mettersi sulle tracce di ogni uomo. Allora piuttosto che imporre l’esistenza (stare fuori) di Dio, dovremmo proporre che se c’è un Dio è un Dio che in-siste, cioè sta dentro l’uomo, prima ancora che egli se ne accorga e possa aderire esplicitamente a questa vocazione.




di Roberto Oliva

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