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Il Santo di oggi – 25 Giugno – San Guglielmo di Montevergine (Monaco)

Guglielmo di Montevergine era nato a Vercelli nel 1085 da nobile famiglia. Divenuto monaco, decise di recarsi in Palestina. Lungo il cammino si fermò in Irpinia dove fondò la Congregazione Benedettina di Montevergine, con caratteristiche cenobitiche.

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Sentendo il bisogno di solitudine, nominò il suo successore nella Congregazione, che abbandonò per poi fondare altri monasteri, fra cui quello di San Salvatore, diviso in due parti destinate rispettivamente ai religiosi e alle religiose. La sua opera infaticabile lo portò ancora più lontano verso Rocca San Felice, Foggia e Troia. L’ideale di vita ascetica da lui proposto, sostanzialmente legato alla Regola benedettina, faceva parte del movimento spirituale che cercava una Regola più pura e dava maggior spazio alla preghiera e alla contemplazione. Morì a Goleto, in Irpinia, il 24 giugno 1142. (Avvenire)

Patronato: Irpinia

Etimologia: Guglielmo = la volontà lo protegge, dal tedesco

Emblema: Bastone pastorale, lupo

Martirologio Romano: Goleto presso Nusco in Campania, san Guglielmo, abate, che, pellegrino dalla città di Vercelli, fattosi povero per amore di Cristo, fondò su invito di san Giovanni da Matera il monastero di Montevergine, in cui accolse con sé dei compagni che istruì nella sua profonda dottrina spirituale, e aprì molti altri monasteri sia di monaci sia di monache nelle regioni dell’Italia meridionale.

La sua statua in San Pietro a Roma ha un lupo accovacciato ai piedi, in ricordo di un prodigio che gli attribuisce la tradizione. Quando viveva da eremita sui monti, l’asino che era il suo prezioso mezzo di trasporto fu sbranato da un lupo, che poi Guglielmo prodigiosamente trasformò in mansueto animale da soma. Di Guglielmo non conosciamo i genitori, probabilmente nobili. Lo incontriamo quindicenne, già vestito da monaco e in viaggio come pellegrino. Cammina per mesi e per anni. Va a San Giacomo di Compostella, poi a Roma, poi si avvia verso la Puglia: vuole imbarcarsi per la Terrasanta. Ma lo dissuadono dapprima un futuro santo, Giovanni da Matera, da lui incontrato a Ginosa (Taranto); e poi alcuni rapinatori presso Oria (Brindisi) che lo picchiano selvaggiamente perché delusi dalle sue tasche vuote. “Non è lì che ti vuole il Signore”, gli ha detto Giovanni. E lui, dopo indecisioni e prove, va infine a stabilirsi sui 1.500 metri di Montevergine, nel gruppo appenninico del Partenio, presso Avellino. Terra ancora di orsi e di lupi, dove vive da solo per un anno.

Poi arrivano altri uomini (e alcuni sacerdoti) attratti dalla vita eremitica, che intorno a lui formano una comunità. Ma poi salgono anche i pellegrini, i “fedeli”, a cui bisogna predicare e amministrare i sacramenti, nella chiesetta consacrata nel 1124. Guglielmo ha adottato la Regola benedettina con marcata accentuazione eremitica, ma quest’affluenza di gente rende necessaria anche un’attività pastorale, una “cura d’anime”.

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Nel 1128 egli affida la comunità al futuro beato Alberto e va a stabilirsi in Lucania sul monte Cognato, dove presto nasce un monastero; e quando è ben stabilito, ecco che Guglielmo riparte fermandosi a Goleto, ancora nell’Avellinese. Qui per un anno gli serve da cella il cavo di un gigantesco albero, e qui ancora nasce un monastero. “Doppio”, anzi; ossia con una comunità maschile e una femminile, ognuna con propria sede e propria chiesa.
Il Meridione d’Italia “adotta” affettuosamente questo piemontese. Altri monasteri egli fa nascere in Irpinia e in Puglia: “moltissimi”, dice la sua prima biografia del XII secolo. Così si forma quella che sarà chiamata Congregazione Benedettina di Montevergine, e che avrà vita plurisecolare. Nel 1879 si fonderà poi con la Congregazione Cassinese.
Guglielmo muore nel monastero del Goleto, e nelle sue comunità s’incomincia subito a venerarlo come santo. Alcuni vescovi autorizzano anche il culto pubblico, che sarà poi esteso a tutta la Chiesa nel 1785. Il suo corpo verrà traslato nel 1807 dal Goleto a Montevergine, dove si trova tuttora. E lo stesso monastero, per tutta la durata della seconda guerra mondiale, sarà il rifugio segreto e sicuro della Santa Sindone di Torino.






Autore: Domenico Agasso

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