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Quando Giovanni Paolo II, profeta del nostro tempo, si mise in dialogo con l’Islam

L’impressione lasciata da Giovanni Paolo II ai musulmani è certamente piuttosto positiva, al punto che, al momento della sua morte, corse voce in Egitto che egli si fosse convertito all’islam e avesse chiesto di essere sepolto secondo il costume musulmano. Il punto di partenza di tutti i responsabili cattolici è sicuramente il documento del Vaticano II, intitolato « Nostra Aetate », datato 28 ottobre 1965, che al punto 3, per ciò che riguarda l’islam dice: “La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà”.

Giovanni Paolo II attraverso i suoi atti, come con i suoi discorsi, ha sicuramente applicato questa «carta» conciliare, concretizzandola secondo le circostanze. Niente nega questo. Cerchiamo di vedere, attraverso alcuni esempi, ciò che è accaduto esattamente, seguendo l’ordine cronologico degli avvenimenti. In conclusione farò una breve sintesi del suo contributo al dialogo con l’islam e i musulmani. 1-. Giovanni Paolo II ai musulmani del Marocco (Casablanca, 19 agosto 1985); 2-. Ai vescovi latini dei Paesi arabi (3 settembre 1994); 3-. In Tunisia : condizioni necessarie perchè il dialogo sia fruttuoso (14 aprile 1996, palazzo presidenziale di Cartagine); 4-. Incontro con i rappresentanti delle comunità islamiche (Sarajevo, 13 aprile 1997); 5-. Esortazione apostolica sul Libano; 6-. Discorso in occasione dell’incontro con la comunità muslmana (Damasco, moschea Omayyade, 6 maggio 2001)- Estratto dalla preghiera per la pace, chiesa greco-ortodossa di Kuneitra, in Siria. 7-. Omelia della XXXV Giornata mondiale della pace (1 gennaio 2002); 8-. Esortazione apostolica Ecclesia in Europa

1-. Giovanni Paolo II ai musulmani del Marocco (Casablanca, 19 agosto 1985). Il primo dato significativo è indubbiamente l’incontro di Casablanca del 19 agosto 1985, allo stadio olimpico, davanti a 80mila giovani marocchini musulmani. Il re del Marocco, che l’aveva invitato, fu vivamente criticato da parte di alcuni Paesi islamici (tra gli altri l’Arabia Saudita e l’Iran) per aver ricevuto con onore il Papa e avergli dato la possibilità di «fare la sua propaganda». La reazione marocchina fu assai positiva. Il testo era stato accuratamente preparato sul luogo dai responsabili del dialogo, attorno al gruppo «La Source». Eccone alcuni passaggi: “Cristiani e musulmani, abbiamo molte cose in comune, come credenti e come uomini. Viviamo nello stesso mondo, solcato da numerosi segni di speranza, ma anche da molteplici segni di angoscia. Abramo è per noi uno stesso modello di fede in Dio, di sottomissione alla sua volontà e di fiducia nella sua bontà. Noi crediamo nello stesso Dio, l’unico Dio, il Dio vivente, il Dio che crea i mondi e porta le sue creature alla loro perfezione. È dunque verso Dio che si rivolge il mio pensiero e che si eleva il mio cuore: è di Dio stesso che desidero innanzitutto parlarvi; di Lui, perché è in Lui che noi crediamo, voi musulmani e noi cattolici, e parlarvi anche dei valori umani che hanno in Dio il loro fondamento, questi valori che riguardano lo sviluppo delle nostre persone, come pure quello delle nostre famiglie e delle nostre società, nonché quello della comunità internazionale. Il mistero di Dio non è la realtà più alta dalla quale dipende il senso stesso che l’uomo dà alla sua vita? E non è il primo problema che si presenta a un giovane quando riflette sul mistero della propria esistenza e sui valori che intende scegliere per costruire la sua crescente personalità? (…) Il dialogo tra cristiani e musulmani oggi è più necessario che mai (…) in un mondo sempre più secolarizzato e, a volte, anche ateo (…) dobbiamo testimoniare il nostro culto verso Dio, la nostra adorazione, la nostra preghiera di lode e di supplica. L’uomo non può vivere senza pregare, come non può vivere senza respirare. Dobbiamo testimoniare la nostra umile ricerca della sua volontà; è lui che deve ispirare il nostro impegno per un mondo più giusto e più unito. (…) Noi desideriamo che tutti accedano alla pienezza della verità divina, ma non possono farlo se non con la libera adesione della loro coscienza, al riparo dalle costrizioni esterne che non sarebbero degne del libero omaggio della ragione e del cuore che caratterizza la dignità dell’uomo. È questo il vero senso della libertà religiosa, che rispetta sia Dio che l’uomo. È da tali adoratori che Dio attende il culto sincero, degli adoratori in spirito e in verità. Questa obbedienza a Dio e questo amore per l’uomo devono condurci a rispettare i diritti dell’uomo, questi diritti che sono l’espressione della volontà di Dio e l’esigenza della natura umana come Dio l’ha creata. Il rispetto e il dialogo richiedono dunque la reciprocità in tutti i campi, soprattutto in ciò che concerne le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa. Essi favoriscono la pace e l’intesa tra i popoli. Aiutano a risolvere insieme i problemi degli uomini e delle donne di oggi, in particolare quella dei giovani. Dio ha dato la terra all’insieme del genere umano perché gli uomini ne traggano il loro sostentamento nella solidarietà e perché ogni popolo abbia i mezzi per nutrirsi, per curarsi e per vivere in pace”.

2-. Ai vescovi latini dei Paesi arabi (3 settembre 1994). Ai vescovi latini dei Paesi arabi, che erano in visita «ad limina apostolorum», a Roma, sabato 3 settembre 1994, Giovanni Paolo II rivolse un discorso in 8 punti, in francese. Cito solo il n. 3: “I fedeli dell’Islam rappresentano la maggioranza fra i popoli delle vostre regioni. La presenza cristiana, quasi ovunque minoritaria, non è meno antica, e tutti i vostri fratelli cristiani si augurano che essa rimanga viva. Malgrado le difficoltà, malgrado l’emigrazione che indebolisce alcune vostre diocesi, continuate a rendere una testimonianza evangelica generosa di pace e di amore, secondo le parole di Gesù. Proseguite nel dialogo interreligioso con l’ebraismo e con l’Islam. Si tratta di cercare di comprendersi sempre meglio, di collaborare efficacemente in diversi campi per promuovere lo sviluppo delle persone e l’armonia della società, si tratta di un atteggiamento di tolleranza e di reciproco rispetto per le convinzioni e per le attività religiose proprie di ogni comunità. Auspico in particolare che nei vostri Paesi, i cattolici abbiano quella libertà di culto che vorremmo vedere riconosciuta in tutto il mondo a tutti i credenti”.

3-. Cartagine Palazzo presidenziale 14 aprile 1996: “In Tunisia, Giovanni Paolo II, in occasione dell’incontro con i rappresentanti del mondo politico, culturale e religioso, ha evidenziato le condizioni necessarie per un dialogo fruttuoso: (…) È indispensabile innanzitutto che sia animato da un autentico desiderio di conoscere l’altro. Non si tratta di una semplice curiosità umana. L’apertura all’altro è, in qualche modo, una risposta a Dio che ammette le nostre differenze e che vuole che ci conosciamo più profondamente. Per questo, porsi nella verità gli uni di fronte agli altri è un’esigenza fondamentale. I protagonisti del dialogo saranno sicuri e sereni nella misura in cui saranno veramente radicati nelle rispettive religioni. Questo radicamento consentirà l’accettazione delle differenze e farà evitare due ostacoli opposti: il sincretismo e l’indifferentismo. Consentirà anche di trarre profitto dallo sguardo critico dell’altro sul modo di formulare e di vivere la propria fede. La fede sarà anche alla base di quella forma di dialogo che è la collaborazione al servizio dell’uomo di cui ho già parlato. Credendo in Dio creatore, riconosciamo la dignità di ogni persona umana creata da Lui. In Dio abbiamo la nostra origine e in Lui il nostro destino comune. Fra questi due poli vi è il cammino della storia lungo il quale dobbiamo procedere fraternamente in uno spirito di aiuto reciproco, per raggiungere la fine trascendente che Dio ha stabilito per noi. Vorrei qui ribadire l’appello che ho lanciato durante il mio viaggio in Senegal: “Compiamo insieme uno sforzo sincero per giungere ad una comprensione mutua più profonda. Che la nostra collaborazione in favore dell’umanità, iniziata nel nome della nostra fede in Dio, sia una benedizione e favorisca tutto il popolo” (Giovanni Paolo II, Ai capi religiosi musulmani, 22 feb. 1992: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XV, 1 (1992) 395).

4-. Sarajevo, 13 aprile 1997. Nel suo incontro con i rappresentanti della comunità islamica, Giovanni Paolo II tenne questo discorso: “Come è noto, la Chiesa guarda con stima ai Musulmani che, lo ricorda il Concilio Vaticano II, adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini (Nostra Aetate, n.3). A questa fede in Dio, che avvicina i musulmani ai credenti delle religioni monoteistiche, si aggiunge la considerazione che la tradizione islamica conserva un grande rispetto per la memoria di Gesù, considerato un grande profeta, e per Maria, la sua Madre Vergine. Possa tale vicinanza consentire sempre più una reciproca intesa a livello umano e spirituale. Possa aiutare un’intesa fraterna e costruttiva anche tra le comunità di differente credenza che vivono nella Bosnia ed Erzegovina. Dio è unico, e nella sua giustizia ci chiede di vivere in maniera conforme alla sua volontà santa, di sentirci fratelli gli uni degli altri, di impegnarci ad operare affinché la pace sia garantita nei rapporti umani, ad ogni livello. Tutti gli esseri umani sono posti da Dio sulla terra, affinché percorrano un pellegrinaggio di pace, ciascuno a partire dalla situazione in cui si trova e dalla cultura che lo riguarda. (…). E’ venuto il tempo di riprendere un dialogo sincero di fraternità, accogliendo e donando il perdono; è giunto il tempo di superare gli odi e le vendette che ancora ostacolano il ristabilimento di una pace autentica nella Bosnia ed Erzegovina. Dio è misericordioso – questa è l’affermazione che tutti i credenti dell’Islam amano e condividono. Proprio perché Dio è così e vuole la misericordia, è doveroso per ciascuno porsi nella logica dell’amore, così da raggiungere la meta del vero perdono reciproco. La pace, allora, che è dono offerto da Dio nella sua bontà, è da lui richiesta e comandata alle nostre coscienze. Egli vuole la pace tra persona e persona, tra nazione e nazione. Questo è ciò che Iddio comanda, perché egli stesso manifesta ad ogni uomo e ad ogni donna il suo amore insieme con il suo perdono che salva. Auspico che le comunità dell’Islam, religione della preghiera, possano unirsi alla invocazione che tutti gli uomini di buona volontà innalzano a Dio Onnipotente, per implorare, in unità di intenti, la pace operosa che consente di vivere e di collaborare efficacemente per il bene comune. Protegga l’Altissimo quanti, con sincerità e mutua comprensione, mettono insieme le forze con generoso impegno e disponibilità, per ricostruire i valori morali, comuni a tutti gli uomini che credono in Dio ed amano la sua volontà. Su queste persone buone, come pure su tutti voi qui presenti, invoco la benedizione di Dio Onnipotente”. a cura della Redazione Papaboys *

* La fonte dell’articolo è tratta da: Samir Khalil Samir S.J. 

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