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Uno dei santi più amati è Don Bosco. Stasera ci parla del Paradiso e dell’inferno.

Straordinario educatore e indimenticabile parroco, Giovanni Bosco nacque il 16 agosto 1815 in una famiglia contadina poverissima a Becchi Castelnuovo d’Asti (oggi rinominata Castelnuovo Don Bosco). Rimasto orfano di padre a soli due anni matura la vocazione sacerdotale fin da subito.

Nel 1841, giovane prete, arriva a Torino e comincia ad esplorare la città per farsi un’idea delle condizioni morali dei giovani. Ne rimane sconvolto. Ragazzi che vagabondano per le strade, disoccupati, sbandati e depressi pronti a qualsiasi cosa. Rimane inoltre profondamente impressionato dal constatare come tanti di quei ragazzi prendano da subito la via delle patrie galere. Capisce che non può rimanere indifferente a tutto ciò e decide di agire per cercare di sanare, come può, la difficile situazione.

 

Così parlò dell’inferno e del Paradiso Don Bosco

L’Inferno.

1. L’inferno è un luogo destinato dalla divina Giustizia a punire con supplizio eterno quelli che muoiono in peccato mortale. La prima pena che i dannati patiscono nell’inferno si è la pena dei sensi, i quali sono tormentati da un fuoco che brucia orribilmente senza mai diminuire. Fuoco negli occhi, fuoco nella bocca, fuoco in ogni parte. Ogni senso patisce la propria pena. Gli occhi sono accecati dal fumo e dalle tenebre, atterriti dalla vista dei demoni e degli altri dannati. Le orecchie giorno e notte non odono che continui urli, pianti e bestemmie. L’odorato soffre oltremodo pel fetore di quello zolfo e bitume ardente che soffoca. La bocca è crucciata da ardentissima sete e fame canina: Et famem patiéntur ut canes. Il ricco Epulone in mezzo a quei tormenti alzò lo sguardo al cielo e chiese per somma grazia una piccola goccia di acqua, per temperare l’arsura della sua lingua, e anche una goccia d’acqua gli fu negata. Onde quegli sventurati, arsi dalla sete, divorati dalla fame, tormentati dal fuoco, piangono, urlano e si disperano. Oh inferno, inferno, quanto sono infelici quelli che cadono ne’ tuoi abissi! Che ne dici, figliuolo mio? se tu avessi a morire in questo momento, dove andresti? Se ora non puoi tenere un dito sopra la fiammella di una candela, se non puoi soffrire nemmeno una scintilla di fuoco sulla mano senza gridare, come potrai reggere allora tra quelle fiamme per tutta l’eternità?

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2. Considera inoltre, figliuolo mio, il rimorso che proverà la coscienza dei dannati. Essi soffriranno un inferno nella memoria, nell’intelletto; nella volontà. Si ricorderanno continuamente del motivo per cui si sono perduti, cioè per aver voluto dare sfogo a una qualche passione: questo ricordo è quel verme che non muore mai: Vermis eorum non moritur. Si ricorderanno del tempo che fu loro dato da Dio per salvarsi ancora dalla perdizione, dei buoni esempi dei compagni, dei propositi fatti e non eseguiti. Ripenseranno alle prediche udite, agli avvisi del confessore, alle buone ispirazioni avute di lasciare il peccato, e vedendo che non c’è più rimedio, manderanno urla disperate. La volontà poi non avrà mai più niente di quello che vuole, è al contrario patirà tutti i mali. L’intelletto infine conoscerà il gran bene che ha perduto. L’anima separata dal corpo, presentandosi al divin tribunale, intravede la bellezza di Dio, conosce tutta la sua bontà, quasi contempla per un istante lo splendore del Paradiso, forse ode anche i canti dolcissimi degli Angeli e dei santi. Che dolore, vedendo che tutto ha perduto per sempre! Chi potrà mai resistere a tali tormenti?

3. Figlio mio, che ora non curi di perder il tuo Dio e il Paradiso, conoscerai la tua cecità quando vedrai tanti tuoi compagni più ignoranti e più poveri di te trionfare e godere nel regno de’ cieli, e fu maledetto da Dio sarai cacciato via da quella patria beata, dal godimento di Lui, dalla compagnia della Santissima Vergine e dei Santi. Su dunque, fa’ penitenza; non aspettare che non vi sia più tempo: datti a Dio. Chi sa che non sia questa l’ultima chiamata, e che se non vi corrispondi, Iddio non t’abbandoni e non ti lasci piombare giù in quegli eterni supplizi! Deh! Gesù mio, liberatemi dall’inferno! A poenis inférni libera me, Domine!





Il Paradiso.

1. Quanto fa spavento il pensiero e la considerazione dell’inferno, altrettanto consola quello del Paradiso, preparato da Dio a tutti coloro che l’amano e lo servono nella vita presente. Per fartene un’idea considera una notte serena. Quanto è mai bello a vedersi il cielo con quella moltitudine e varietà di stelle! Quali son piccole, quali più grandi: mentre le une nascono sull’orizzonte, le altre già tramontano; ma tutte con ordine e secondo la volontà del lor Creatore. Aggiungi a ciò la vista di un bel giorno, ma in modo che lo splendore del sole non impedisca di veder bene le stelle e la luna. Supponi altresì di avere quanto di bello si può ritrovar nel mare, nella terra; nei paesi, nelle città, nei palazzi dei re e dei monarchi di tutto il mondo. Aggiungi ancora ogni più squisita bevanda, ogni cibo più saporito; la più dolce musica, l’armonia più soave. Or bene tutto questo insieme è un nulla a paragone dell’eccellenza, dei beni, dei godimenti del paradiso. Oh come è desiderabile e amabile quel luogo, ove si godono tutti i beni! Il beato non potrà a meno di esclamare: Io sono saziato dalla gloria del Signore: Satiàbor cum apparùerit gloria tua.

2. Considera poi la gioia che proverà l’anima tua nell’entrare in Paradiso; l’incontro e l’accoglienza dei parenti e degli amici; la nobiltà, la bellezza dei Cherubini, dei Serafini, di tutti gli Angeli e di tutti i Santi, che a milioni e milioni lodano il Creatore; il coro degli Apostoli, l’immenso numero dei Martiri, dei Confessori, delle Vergini. V’è pure una gran moltitudine di giovani, i quali, perché conservarono la virtù della purità, cantano a Dio un inno che niun altro può imparare. Oh quanto godono in quel regno i beati! Sono sempre in allegrezza, senza infermità, senza dispiaceri e senza affanni che turbino la loro pace, il loro contento.

3. Osserva inoltre, o figliuolo, che tutti i beni ora considerati sono un nulla, a confronto della grande consolazione che si prova nel vedere Iddio. Egli consola i beati col suo amorevole sguardo, e sparge nel loro cuore un mare di delizie. Nello stesso modo che il sole illumina e abbellisce tutto il mondo, così Iddio colla sua presenza illumina tutto il Paradiso e ne riempie i fortunati abitatori di piaceri inesprimibili. In Lui. vedrai come in uno specchio tutte le cose, godrai tutti i piaceri della mente e del cuore. S. Pietro sul monte Tabor, per aver mirato una sola volta il viso di Gesù raggiante di luce, fu ripieno di tanta dolcezza, che fuori di sé esclamò: «O Signore, buona cosa è per noi lo star qui: Domine, bonum est nos hic esse». E vi sarebbe rimasto per sempre. Quale gioia sarà dunque il contemplare non per un istante, ma per sempre, per sempre godere questo viso divino che innamora gli Angeli e i Santi, che abbellisce tutto il Paradiso! E la bellezza ed amorevolezza di Maria; di quanto gaudio deve pur riempire il cuore del beato! Oh sì! quanto sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore! Quam dilécta tabernàcula tua, Domine virtutum! Perciò tutte le schiere degli Angioli e dei Beati cantano la sua gloria dicendo: Santo, Santo, Santo è il Dio degli eserciti; a Lui sia onore e gloria per tutti i secoli.




Coraggio dunque, figliuolo: ti toccherà patire qualche cosa in questo mondo, ma non importa: il premio che avrai in Paradiso compenserà infinitamente tutti i tuoi patimenti. Che consolazione sarà la tua, quando ti troverai in Cielo in compagnia dei parenti, degli amici, dei Santi, dei Beati, e dirai: Sono salvo e sarò sempre col Signore: Semper cum Domino érimus. Allora sì che benedirai il momento in cui lasciasti il peccato; il momento in cui facesti quella buona confessione e cominciasti a frequentare i Sacramenti, il giorno in cui lasciasti i cattivi compagni e ti desti alla virtù; e pieno di gratitudine ti volgerai al tuo Dio, e a Lui canterai lode e gloria. per tutti i secoli. Così sia.

Fonte: Web / A cura di Redazione Papaboys

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