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C’è un segreto per trasformare la ‘nostra acqua’ in vino. Ma c’è bisogno dell’aiuto di Gesù. Provaci!

Cos’è la preghiera? «La preghiera è lo spazio in cui Dio accade in noi nella misura in cui concediamo spazio al suo compiersi», scrive don Paolo Scquizzato nel suo libro “Ancor meglio tacendo” (Effata’ editrice). Ma come possiamo fare spazio al Signore?

Il segreto per imparare a pregare veramente e riempirci di Dio

PREGARE IN SILENZIO

La nostra vita quotidiana è piena di mille occupazioni, impegni, scadenze, appuntamenti, ogni faccenda ci sembra inderogabile. Trovare un momento per pregare con calma, senza fretta, senza essere distratti dai pensieri che occupano la nostra mente e dal cellulare che squilla in continuazione sembra spesso impossibile. Eppure il segreto, sottolinea l’autore, è nascosto lì.

“Per imparare a pregare, occorre rientrare in se stessi, creare spazi di silenzio nella nostra giornata, essenziali quali il mangiare, il bere, il respirare. Vivere sempre «fuori di sé» ci fa morire spiritualmente, perché di fatto si trascura ciò che è essenziale. Come il non respirare, il non mangiare, il non riposare conducono inesorabilmente alla morte. Vivere il silenzio significa tacitare il proprio mondo interiore, significa smettere di far parlare le immagini, i pensieri, le parole, comprese «le preghiere»”.

LA PREGHIERA NON È UN ATTO INTELLETTUALE

Spesso si può cadere nell’errore di credere la preghiera un atto intellettuale, una questione di conoscenza, eppure è un incontro, un’esperienza…
“Solo l’esperienza riesce a cogliere la totalità e Dio è l’Uno (…) Dio è questione di esperienza”.

PERCHÉ… “ANCOR MEGLIO TACENDO”?

Secondo l’autore quando si riesce a silenziare il mondo dei pensieri, delle immagini e delle parole che ci invade la testa e ci distrae dal rapporto con Dio, è possibile svuotarci e divenire capaci di accogliere. Per questo il silenzio è fondamentale perché ci offre lo spazio per riceverLo:

«(…) si tratta di un atteggiamento da acquisire, che potremmo definire capacità. La preghiera è infatti un divenire capaci. Ma stiamo attenti, non nel senso d’essere capaci «di fare» qualcosa (mentalità ancora utilitaristica), ma semplicemente di accogliere. Un contenitore è capace perché vuoto, e in questo modo in grado di riceve un contenuto; esso non deve fare e produrre nulla. Così la preghiera rende semplicemente capaci, non di fare ma di accogliere il tutto».

Quando la nostra vita diviene un fare e trafficare frenetico, corriamo il rischio di ridurre noi stessi a ciò che siamo stati in grado di produrre, dimentichiamo l’essenza profonda che ci caratterizza in quanto uomini e che è molto più grande di ciò che siamo riusciti a realizzare. Fermarci è utile per incontrare Dio, quella “parte migliore che non ci sarà tolta”.

«Quanto abbiamo bisogno di un momento ozioso nella nostra giornata, un momento in cui ci è dato di entrare in contatto con la nostra vera sorgente interiore, per sperimentare alla fine che a renderci veri, ossia donne e uomini autentici, non è un giorno di traffici, di corse, di produttività e d’incontri, ma piuttosto l’entrare in contatto con la Verità che ci abita. Non sarà mai il mondo esterno a dirci chi siamo veramente».

PREGARE È RICONOSCERSI MENDICANTI

Il mendicante è colui che chiede l’elemosina, è un povero che per vivere domanda e implora e accetta tutto, sta con le mani spalancate. Pregare è essere mendicanti “poveri nell’essere”, sottolinea l’autore, “per accogliere e raccogliere” lo Spirito Santo che il Signore ci dona: “(…) il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!” (Luca, 11, 13).

«Comprendiamo meglio quindi che ciò che conta veramente nella nostra vita, non sarà la quantità di preghiere che diremo – «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli» (Mt 7,21) – ma la qualità di vita che scaturirà dalle nostre più profonde radici, imbevute dell’energia attinta dalla preghiera. (…)Questo vuol dire che l’uomo vivrà come prega. E gli uomini di preghiera li si riconoscerà dalla qualità delle loro azioni.».

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SOLO DIO TRASFORMA LA NOSTRA ACQUA IN VINO

«Ciascuno di noi è povertà in attesa di compimento» scrive l’autore, ed è attraverso la preghiera e l’azione dello Spirito Santo che la nostra povertà si trasforma in pienezza, abbondanza e gioia.

«La preghiera è l’aprirsi all’azione dello Spirito, che ci trasforma da carbone in diamante, e questo perché ci facciamo lentamente capaci di lasciarci attraversare dalla luce, capacità appunto del diamante, negata al carbone. Ognuno potrà così accettare serenamente il proprio materiale di costruzione di partenza, per quanto simile al carbone possa essere. Dio trasforma. Come mutò l’acqua in vino a Cana, potrà trasformare anche la torba in diamante».
La preghiera, afferma lo scrittore, è un atto ri-creativo, non un ripetersi vuoto di formule e nemmeno esclusivamente un domandare per ricevere ma una “continua creazione di noi stessi” perché…

«Non siamo esseri «finiti», creati una volta per sempre. Ogni giorno, ogni nostro istante è per noi un momento di ascesa verso il nostro definitivo compimento, la pienezza d’uomo cui dobbiamo tendere. La vita è un venire continuamente alla luce di noi stessi, una vera e propria trasfigurazione. Ebbene, la preghiera è ciò che contribuisce a questa nostra ascesa: è attingere alla luce presente in noi che illumina l’intero nostro essere compiendo la nostra maturità di uomini e donne (…), arrivando a configurarci a Cristo stesso, la Luce (…)».

Le riflessioni di don Paolo Scquizzato, ancor più utili e preziose per il tempo di preparazione al Natale che stiamo vivendo, ci aiutano a comprende il senso profondo del pregare e l’importanza di quel silenzio che ci svuota per aprirci a Dio e farci riempire del Suo amore.




Redazione Papaboys (Fonte it.aleteia.org/Silvia Lucchetti)

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