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47 anni fa Paolo VI annunciava il ritrovamento delle spoglie di San Pietro

Oggi 26 Giugno 2015, ricorre il 47° anniversario da quando Paolo VI aveva annunciato il ritrovamento delle spoglie dell’Apostolo Pietro. Anche se nel 1950, durante l’anno Santo, papa Pacelli aveva annunciato l’individuazione della tomba dell’Apostolo, l’ufficializzazione del ritrovamento dei resti avviene circa 30 anni dopo la prima scoperta, quella del ’39. Papa Montini il 26 giugno 1968, durante l’udienza generale del mercoledì, affermava con convinzione: «Nuove indagini pazientissime e accuratissime furono in seguito eseguite con risultato che noi, confortati dal giudizio di valenti e prudenti persone competenti, crediamo positivo: anche le reliquie di San Pietro sono state identificate in modo che possiamo ritenere convincente». Dal punto di vista storico non sono mai esistiti dubbi sulla venuta di San Pietro a Roma, sulla sua crocifissione e sulla sua sepoltura nella necropoli vaticana, a breve distanza dal luogo del martirio. Egli era giunto a Roma nell’anno 41, al tempo dell’imperatore Claudio e vi rimase, salvo una breve interruzione, fino alla morte che subì nell’anno 64, all’inizio della persecuzione di Nerone. Questo pazzo imperatore che aveva già fatto avvelenare il fratello, assassinare la madre Agrippina, la moglie Ottavia e aveva ucciso personalmente la seconda moglie Poppea in un raptus di pazzia mise a fuoco la città di Roma. Quindi, come afferma lo storico Tacito, (per distogliere da sé l’ira del popolo ne fece ricadere la colpa sui cristiani scatenando contro di essi una feroce persecuzione. Fu durante questa persecuzione che, secondo la testimonianza di Clemente romano (Ad Chorinthios, 1, 56), nell’anno 64 Pietro subì il martirio per crocifissione proprio nel circo di Nerone che sorgeva sul colle Vaticano.

Lo storico Eusebio di Cesarea ci informa che Pietro, non ritenendosi degno di morire come il suo Maestro, chiese ed ottenne di essere crocifisso con il capo all’ingiù. Il suo corpo fu seppellito nello stesso colle Vaticano, in un cimitero vicino al luogo del martirio e sulla sua tomba, divenuta subito oggetto di venerazione, i cristiani innalzarono, nel II secolo, un “trofeo” (detto di “Gaio”, dal nome dello scrittore cristiano del II secolo che ne parla, come ci riferisce lo storico Eusebio) che, in base agli scavi effettuati negli anni ’40, è stato ricostruito così:

Ricostruzione del "trofeo" di San Pietro.
Ricostruzione del “trofeo” di San Pietro.

Agli inizi del IV secolo, Costantino, l’imperatore che decretò la libertà religiosa per il Cristianesimo, fece erigere, sul luogo dell’antico “trofeo” una grande Basilica a cinque navate, il cui altare maggiore era ubicato esattamente sopra la tomba dell’Apostolo. Costantino aveva anche raccolto le ossa di San Pietro dal luogo della sepoltura primitiva (un umido loculo interrato) e le aveva poste in un loculo più asciutto, ricavato in un muro che già sorgeva accanto al luogo della sepoltura primitiva. Ma di questo diremo diffusamente più sotto, quando parleremo degli scavi ordinati nel 1939 da Pio XII. Qui vogliamo solo anticipare che nel Rinascimento l’intera Basilica costantiniana fu demolita da Papa Giulio II e ricostruita dalle fondamenta su disegno del Bramante poi modificato da Michelangelo, dal Maderno e dal Bernini: è l’attuale Basilica Vaticana dominata dalla cupola di Michelangelo, sotto il cui altare, disegnato dal Bernini ed eretto da Papa Clemente VIII, sono ancor oggi custodite le sacre ossa dell’Apostolo. Il lettore si chiederà: come sappiamo che le ossa dell’Apostolo Pietro si trovano ancor oggi là sotto? Lo sappiamo (oltre che dalla secolare tradizione storica) dai positivi e inconfutabili risultati degli scavi archeologici iniziati nel 1939 e tuttora in fase di sviluppo, come diremo ora. Di seguito nellla ricostruzione generale del complesso monumentale di Costantino:

Basilica Costantiniana.
Basilica Costantiniana.

Gli scavi ordinati da Pio XII nel 1939-. Per molti secoli, praticamemte fino all’inizio del secolo ventesimo, nessun Papa osò ordinare una ispezione archeologica della tomba di San Pietro. La tomba dell’Apostolo incuteva in tutti un sacro timore reverenziale. Fu Pio XII che, pochi mesi dopo la sua elezione a Pontefice, volle iniziare gli scavi sotto il pavimento della Basilica Vaticana e specialmente sotto l’altare della Confessione dove, secondo l’ininterrotta tradizione, si sarebbe dovuta trovare la tomba dell’Apostolo. Questi scavi Ñdiretti da Mons. Ludovico Kaas coadiuvato dagli archeologi professor Enrico Josi, Padre Antonio Ferrua e Padre Engelbert Kirschbaum e dall’architetto Bruno Maria Apollonj Ghetti durarono circa un decennio (dal 1941 al 1950) e portarono dapprima alla scoperta, sotto la Basilica Vaticana, di una vasta necropoli di epoca precristiana, orientata da Ovest ad Est. Di enorme importanza fu invece il ritrovamento di un graffito di sette lettere greche (ricordiamo che il greco era allora la seconda lingua dell’impero), inciso sul “Muro rosso” nella zona di esso alla quale veniva ad appoggiarsi il lato Nord del muro “G”. In tal modo il graffito veniva a trovarsi all’interno del Loculo, come risulta dal suo perfetto adattamento alla lacuna rimasta nell’intonaco del “Muro rosso”. Ciò ha portato giustamente la professoressa Guarducci ad arguire che quella scritta fosse stata graffita da una mano insinuatasi nel loculo prima della sua chiusura in età costantiniana. Tale graffito diceva:

Scritta nel graffito: "Pietro è qui".
Scritta nel graffito: “Pietro è qui”.

La storia di questo graffito è, a dir poco, rocambolesca. Esso fu trovato su una carriola di detriti dal padre Ferrua, uno dei quattro scavatori ufficiali, il quale (per motivi inspiegabili o, come lui disse, per salvarlo) se l’era portato a casa sua finché, quando nel 1952 la cosa fu risaputa, per ordine di Pio XII dovette restituirlo al Vaticano. Al termine dei lavori, gli archeologi diretti da Mons. Kaas giunsero anche a stabilire con certezza che i successivi rifacimenti dell’altare della Confessione, che vari Papi avevano operato nei secoli (l’altare maggiore della Basilica costantiniana fu rifatto da Gregorio Magno nel VI secolo e poi da Papa Callisto II nel XII secolo e infine da Clemente VIII nel XVI secolo) giacciono tutti uno sopra l’altro e poggiano tutti sull’antico monumento costantiniano. Lo spaccato verticale della zona archeologica rappresentato nella fprossima immagine mostra, in basso, il luogo terrigno della primitiva sepoltura del corpo di Pietro’ avvenuta subito dopo il martirio, sulla quale, nel II secolo è stata innalzata l’edicola funeraria o ”Trofeo” detto di Gaio. Il muro cosiddetto “G” con il loculo marmoreo dove Costantino trasportò, nel IV secolo, le ossa dell’Apostolo. Il tutto ha come sfondo la parete orientale del ”Muro rosso”.

Il proseguimento degli scavi da parte della professoressa Gagliarducci-. Al termine degli scavi suddetti, se si era ritrovata con certezza la tomba di San Pietro, non altrettanto si poteva dire per le ossa del Santo. Tali scavi infatti misero in luce sia la primitiva tomba interrata sia quella costantiniana ricavata nello spessore del muro “G”, ma delle ossa non se ne seppe almeno – ufficialmente – nulla. Il merito del rinvenimento delle ossa dell’Apostolo va principalmente alla professoressa Margherita Guarducci, il cui nome resterà per sempre legato al ritrovamento e alla identificazione scientifica delle ossa del Santo; e quel che ora diremo non è che il riassunto di quanto la stessa professoressa Guarducci ha scritto nel suo libro: La Tomba di San Pietro edito nel 1989 dalla Editrice Rusconi di Milano. A questo libro appassionante rimandiamo il lettore che volesse approfondire l’argomento. La storia del ritrovamento ha veramente del romanzesco. Perché infatti le ossa di San Pietro non furono ritrovate nel Loculo del muro ”G” nel quale Costantino le aveva certamente riposte? Per comprenderlo bisogna rifarsi al 1941. In quell’epoca, mons Kaas, che era il sovrintendente agli scavi, per controllare personalmente il procedere dei lavori era solito fare, verso sera, a Basilica chiusa, un giro di ispezione nella zona degli scavi, accompagnato dal “sampietrino” (i “sampietrini” sono gli operai addetti alla manutenzione della Basilica di San Pietro) Giovanni Segoni.

Una sera, durante l’ispezione, mons. Kaas notò che all’interno del Loculo del muro “G'”, in mezzo a vari detriti ivi caduti dalle pareti in seguito alle forti scosse causate dagli scavi, affioravano alcune ossa umane. La presenza di queste ossa era sfuggita ai quattro archeologi che vi lavoravano durante il giorno, forse perché giudicarono di nessuna rilevanza archeologica i detriti crollati nel Loculo o forse pensarono di esaminarli in un secondo tempo. Ma l’occhio più attento di mons. Kaas o forse quello del “sampietrino” Segoni notarono le ossa; e fu un innato senso di pietà verso i trapassati che Mons Kaas decise di separare subito le ossa dai detriti e di farle mettere dal Segoni in una cassetta di legno che lo stesso Segoni e Mons. Kaas depositarono in un magazzino nelle grotte vaticane. Con ciò, scrive la Guarducci, mons. Kaas aveva salvato, pur non sapendolo, le reliquie di Pietro.

La portata storica, teologica ed ecumenica del ritrovamento delle ossa di San Pietro-. 1-. L’archeologia è, tra le scienze, forse la più ”concreta”: essa ha per oggetto realtà materiali, visibili palpabili. I reperti storici sono lì da vedere e ognuno li può studiare, analizzare, datare in modo oggettivo col sussidio di quasi tutte le altre scienze sperimentali come la fisica, la chimica, ecc. Essa è, a sua volta, una scienza sussidiaria della storia. É vero che la storia ha le sue proprie fonti letterarie e di tradizione orale, ma trova nella archeologia una fonte sussidiaria che conferma in modo oggettivo e palpabile i dati delle altre fonti e talvolta li corregge e li precisa. Ebbene, con il rinvenimento della tomba e delle ossa di Pietro, la bimillenaria ed ininterrotta tradizione storica della venuta di San Pietro a Roma, della sua permanenza come Vescovo, del suo martirio e della sua sepoltura, riceve una conferma irrefutabile e consolantissima.

2-. Inoltre non è chi non veda quanto questo rinvenimento conforti ciò che da sempre la teologia cattolica ha sostenuto: ossia che il Primato sugli altri Apostoli conferito da Cristo a Pietro si trasmette, in forza della successione nella Cattedra di Pietro, ai Vescovi di Roma, fino alla fine del mondo. Si deve qui ricordare che tutto il mondo protestante aveva sempre negato, cominciando dallo stesso Lutero, la presenza della tomba (e delle ossa) di Pietro a Roma. Ma questa negazione era evidentemente strumentale, dato che Lutero stesso, il quale conosceva benissimo le tradizioni letterarie al riguardo, non poteva ignorare la verità di questo dato storico. Ma, tant’è, quando un’ideologia offusca la mente di un uomo questi non arretra neppure davanti alla negazione e al capovolgimento delle più evidenti realtà storiche!

Questa negazione ha percorso e sostenuto tutta la polemica teologica anticattolica dei protestanti (e degli ortodossi), fino ai nostri giorni, ed il ritrovamento della tomba e delle ossa di Pietro dovrebbe indurre al ripensamento gli attuali negatori del Primato del Vescovo di Roma su tutta l’unica Chiesa di Cristo! Un bell’esempio di ravvedimento ci è offerto da un grande studioso protestante, che fu anche Osservatore al Concilio Vaticano II, Oscar Cullmann: dopo l’annuncio di Pio XII del ritrovamento della Tomba, egli uscì a dire alla Guarducci: «Ma che tomba avete trovato? Non c’è il nome, non ci sono le ossa…»; ma quando, quattordici anni dopo, la stessa professoressa Guarducci gli sottopose la documentazione archeologica della presenza del nome di Pietro accanto e nella tomba, e le ossa identificate con assoluta certezza, allora sul suo volto si dipinse lo sbalordimento e una mal repressa vena di disappunto, superato però subito dal desiderio di sapere tutto sulla straordinaria scoperta

3-. Da ultimo ci piace sottolineare l’enorme portata ecumenica di questo ritrovamento archeologico. Il vero ecumenismo non è il cammino verso l’Unione per giungere alla Verità, ma è il cammino verso la Verità per giungere all’Unione; perché la Verità precede e fonda l’Unione, come Cristo, che è la Verità, precede e fonda l’unica Chiesa. Il ritrovamento della tomba e delle ossa di Pietro sono un provvidenziale richiamo a tutti noi su come dobbiamo condurre il nostro impegno ecumenico: anzitutto nella fedeltà personale al Magistero della Chiesa Cattolica; poi nella proposizione integrale dell’umica Verità ai fratelli separati; e, solo dopo, nella ricerca fraterna di un dialogo che appiani le loro difficoltà e li conduca ad accettare la Verità tutta intera. Non è certamente merito nostro se siamo nati e cresciuti nell’unica vera Chiesa che Cristo ha fondato su Pietro; ma sarebbe nostro eterno demerito se ci lasciassimo sedurre dal desiderio di far presto l’Unione e di farla a qualunque costo. Quanti sbagli sono stati commessi e quanto tempo è stato perduto da chi ha voluto percorrere questa via! Che le sacre Reliquie del Principe degli Apostoli (le uniche fino ad oggi ritrovate di un Apostolo!) ci richiamino costantemente a perseguire l’Unità solo passando per la Verità, che è Cristo! a cura di DonSa

L’antica basilica di San Pietro in Vaticano, nota anche come basilica di Costantino, era ubicata a Roma, nell’area attualmente occupata dalla nuova basilica vaticana. La politica di favore e aperto controllo sulla trionfante religione cristiana, inaugurata da Costantino I con l’editto di Milano del 313 e culminata con la sua apparizione come basilèus isapòstolos al concilio di Nicea del 325, ebbe riscontro nella serie di edifici nei luoghi santi della Palestina e di Roma, che dettero vita nuova tipologia della basilica cristiana. La più antica fu quella di San Giovanni in Laterano ma un posto di rilievo spettò alla basilica di San Pietro, costruita sulla sepoltura dell’apostolo Pietro, segnata da una“memoria”, cioè da un’edicoletta posta in una piazzola nella vasta necropoli vaticana,rimasta in uso dal II al IVsecolo e posta ai margini del circo di Caligola (o di Nerone), ai piedi del colle Vaticano. I lavori ebbero inizio presumibilmente tra il 319 ed il 326 e si conclusero sostanzialmente entro il 333.Per costruire l’imponente basilica (circa 110 x 65 m, 30 m di altezza), L’atto di spianare un’area cimiteriale ancora in uso, inconsueto anche sotto il profilo religioso e giuridico ed effettuato con grandi spese, si giustifica con la grande importanza attribuita alla sepoltura dell’apostolo, riconosciuta come autentica. Infatti il sito, da tradizione antichissima, è riconosciuto come luogo della sepoltura dell’apostolo Pietro che dovrebbe aver subito il martirio proprio nei vicini Horti neroniani.Nell’800 la basilica accolse la solenne incoronazione ad imperatore di Carlo Magno; dopo di lui molti furono gli imperatori del Sacro Impero ad essere incoronati nell’antica basilica: tra gli altri Carlo il Calvo, Ottone I, Ottone II, Ottone III, Federico I Barbarossa e Federico II. Il papato, che in origine aveva residenza presso la Basilica Laterana, si trasferì al Vaticano solo dopo il periodo della cosiddetta cattività avignonese (dal 1377).All’inizio del XVI secolo si decise per la sua totale ricostruzione e quindi fu lentamente demolita, a partire dal presbiterio, per far spazio alla nuova, grandiosa basilica. Tuttavia una parte della navata del tempio costantiniano, divisa al tempo di Paolo III da un muro (detto muro “farnesiano”) dalla nuova crociera in costruzione, sopravvisse e fu utilizzata per quasi tutta la durata del cantiere, fino a quando,nel 1609, non fu definitivamente abbattuta per volontà di papa Paolo V, superando le ultime perplessità. Infatti anche in tale fase non mancò chi si opponeva a questa ulteriore demolizione e quindi al compimento del progetto di Michelangelo. La nuova basilica fu consacrata nel 1626.Scavi archeologici hanno indagato la necropoli sorta fuori dal circo di Nerone, ai piedi del colle Vaticano, fatta interrare da Costantino sotto la basilica.Sono stati rinvenuti, ed in parte resi visitabili, numerosi mausolei del II e III secolo disposti lungo una via funeraria ed altre sepolture meno monumentali costruite intorno all’area identificata come quella della tomba di Pietro. Nell’abside si trovava anche, dove si troverebbe di solito l’altare, la memoria dell’Apostolo, che altro non era che l’edicoletta del II secolo detta anche “trofeo”. Le colonne originarie della pergula vennero riutilizzate negli altari incassati nei piloni della basilica attuale e ce ne resta traccia in varie opere d’arte come una copia fedele nella cassetta eburnea di Pola del V secolo. Dopo la demolizione della basilica costantiniana, alcuni dei suoi frammenti, dopo pesanti rifacimenti, furono rimessi in opera nell’atrio della nuova basilica in forma di lunetta.

 

 

 

 

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