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1998: Giovanni Paolo II in viaggio tra il dialogo e le incomprensioni

Karol Wojtyła fu il primo pontefice a recarsi a Cuba. La sua visita nell’isola caraibica, dal 21 al 25 Gennaio 1998, rappresentò un evento epocale della fine del ventesimo secolo. Dopo l’accoglienza calorosa riservata al pontefice dal popolo cubano al suo arrivo, Wojtyła  ebbe, Giovedì 22 Gennaio, uno storico incontro con il Presidente cubano Fidel Castro presso il Palazzo della Rivoluzione a L’Avana. Dopo tre giorni intensi e pieni di incontri, il 25 Gennaio 1998 si concluse il viaggio apostolico con la Messa in Piazza della Rivoluzione “Josè Marti” alla quale parteciparono circa un milione di persone. Prima della partenza da Cuba Wojtyła ebbe parole di condanna per l’embargo operato dagli Stati Uniti nei confronti dell’isola: “Ai nostri giorni – dichiarò- nessuna nazione può vivere sola. Per questo, il popolo cubano non può vedersi privato dei vincoli con gli altri popoli, che sono necessari per lo sviluppo sociale e culturale, sopratutto quando l’isolamento forzato si ripercuote in modo indiscriminato sulla popolazione. accrescendo le difficoltà dei più deboli, in aspetti fondamentali come l’alimentazione, la sanità e l’educazione”. Fidel Castro da parte sua, prima della partenza di Giovanni Paolo II, dichiarò: ” Sono commosso dallo sforzo che Sua Santità fa per un mondo più giusto. Le nazioni scompariranno, i popoli arriveranno a costituire una sola famiglia umana. Se la globalizzazione della solidarietà che Lei proclama si estendesse a tutta la Terra, e se gli abbondanti beni che l’uomo può produrre con la sua intelligenza e lavoro fossero distribuiti equamente tra  tutti gli esseri umani che oggi abitano il pianeta, si potrebbe creare veramente un mondo per loro, senza fame né povertà. senza oppressione né sfruttamento, senza umiliazioni né offese, dove vivere con piena dignità morale e materiale, in vera libertà; questo sarebbe un mondo più giusto! Le sue idee sull’evangelizzazione e sull’ecumenismo non sarebbero in contraddizione con tutto ciò”.

Video dei Viaggi Apostolici del 1998.

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Nei giorni 21- 23 marzo 1998, Papa Woytila, compie il suo secondo pellegrinaggio apostolico in Nigeria, raggiungendo un piccolo record. Infatti si tratta dell’82° viaggio all’estero e il 13° in Africa. Nel paese africano ad altissima presenza musulmana, Giovanni Paolo II diede un forte impulso al dialogo interreligioso tra cristianesimo e islam. Incontrando i capi religiosi del luogo ribadì con forza: “lo scopo della mia visita è stato quello di proclamare solennemente la santità di un figlio di questo Paese, Padre Cyprian Michael Iwene Tansiche è stato dichiarato un modello di religioso che ha amato gli altri e si è sacrificato per loro. L’esempio di quanti vivono vite sante ci insegna non soltanto ad esercitare il rispetto e la comprensione reciproci, ma a diventare noi stessi modelli di bontà, di riconciliazione e di collaborazione, al di là dei confini etnici e religiosi, per il bene dell’intero Paese e a maggior gloria di Dio. In quanto cristiani e musulmani, condividiamo la fede in “un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale” (Lumen Gentium, n. 16). Anche se differiamo nel modo d’intendere quest’Unico Dio, siamo tuttavia simili nel nostro sforzo di conoscere e fare la sua volontà. Questa aspirazione religiosa costituisce di per sé un vincolo spirituale tra cristiani e musulmani, vincolo che può stabilire una solida ed ampia base di collaborazione in molti campi. Questo è importante ovunque cristiani e musulmani vivono insieme, ma lo è in modo particolare in Nigeria, dove cristiani e musulmani presenti in così grande numero. Tra le importanti convinzioni che condividiamo, sia il Cristianesimo sia l’Islam pongono l’accento sulla dignità di ogni persona umana, in quanto creata da Dio per un fine speciale. Ciò ci porta a sostenere il valore della vita umana in tutti i suoi stadi e la famiglia in quanto unità essenziale della società. Di conseguenza consideriamo un peccato contro il Creatore ogni abuso nei confronti dei membri più deboli della società, in particolare donne e bambini. Inoltre le nostre religioni pongono molta enfasi sulla responsabilità degli individui di rispondere a quanto, in coscienza, ritengono che Dio desideri da loro. E’ inquietante la riflessione sull’attuale condizione dei diritti umani poiché in alcune parti del mondo le persone vengono ancora perseguitate e imprigionate per motivi di coscienza e per il loro credo religioso. Quali vittime innocenti, rappresentano la triste prova che è stata la forza – e non i principi democratici – a prevalere, che l’intenzione non è quella di servire la verità e il bene comune, bensì di difendere interessi particolari ad ogni costo. Viceversa, entrambe le nostre tradizioni propugnano un’etica che rifiuta un individualismo che è alla ricerca della propria soddisfazione e che non presta attenzione alle necessità altrui. Noi crediamo che, agli occhi di Dio, le risorse della terra siano destinate a tutti e non solamente a pochi. Siamo consapevoli che l’esercizio del potere e dell’autorità debba intendersi come un servizio alla comunità e che tutte le forme di corruzione e di violenza rappresentino una grave offesa alla volontà di Dio per la famiglia umana.

Abbiamo in comune così tanti insegnamenti riguardo alla bontà, la verità e la virtù, che è possibile tra noi una grande comprensione. Anzi, è necessaria. Nel Messaggio che ho rivolto alla Comunità Musulmana a Kaduna, nel corso della mia prima visita nel vostro Paese, nel 1982, ho affermato: “Sono convinto che se noi (cristiani e musulmani) uniamo le nostre forze in nome di Dio, possiamo fare molto bene… Possiamo collaborare nella promozione della giustizia, della pace e dello sviluppo. Spero fermamente che la nostra solidarietà in quanto fratelli, in nome di Dio, sarà veramente per il bene futuro della Nigeria e di tutta l’Africa” (14 febbraio 1982, n. 4). In tutte le società possono nascere divergenze. Talvolta le dispute e i conflitti che ne derivano assumono un carattere religioso. La religione stessa viene a volte chiamata in causa senza scrupoli per generare conflitti. La Nigeria ha conosciuto tali lotte, anche se occorre riconoscere con gratitudine che in molte parti del Paese persone di differenti tradizioni religiose vivono fianco a fianco in un rapporto di buono e pacifico vicinato. Le differenze etniche e culturali non dovrebbero mai essere chiamate in causa per giustificare i conflitti. Piuttosto, come voci diverse in un coro, tali diversità possono vivere in armonia, sempre che esista un autentico desiderio di rispetto reciproco. I cristiani e i musulmani concordano sul fatto che, in materia religiosa, non possono esserci coercizioni. Siamo impegnati a promuovere atteggiamenti di apertura e di rispetto nei confronti dei seguaci di altre religioni. Tuttavia è possibile fare un errato uso della religione ed è compito dei capi religiosi vegliare affinché questo non accada. Soprattutto, ogni qual volta viene fatta violenza in nome della religione, dobbiamo chiarire a tutti che, in tali circostanze, non ci troviamo di fronte alla vera religione. L’Onnipotente infatti non può tollerare la distruzione della propria immagine nei suoi figli. Da questo luogo nel centro dell’Africa Occidentale, rivolgo un appello a tutti i Musulmani, proprio come ho fatto coi miei confratelli Vescovi e con tutti i Cattolici: fate sì che l’amicizia e la cooperazione siano la nostra ispirazione! Lavoriamo insieme per una nuova era di solidarietà e di servizio congiunto dinanzi all’enorme sfida di costruire un mondo migliore, più giusto e più umano! Quando sorgono problemi, sia a livello locale, regionale o nazionale, le soluzioni vanno cercate attraverso il dialogo. Non è questa la consuetudine della tradizione africana? Quando nigeriani di diversa estrazione si riuniscono per pregare per i bisogni del Paese – ogni gruppo secondo la propria tradizione – essi sono consapevoli di stare insieme come un popolo unito. In questo modo rendono veramente onore all’Altissimo Signore del cielo e della terra”. Gli altri viaggi apostolici ebbero come meta: in Europa la scristianizzata e secolarizzata Austria, la Croazia. Mentre in Italia andò pellegrino a Vercelli e Torino, ed infine a Chiavari e Brescia”. di Giovanni Profeta

Video dei Viaggi Apostolici del 1998:

 
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